Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/33

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sta di Manara che cominciava a macchiarsi al basso d’un bel colorino caffè e latte — stamattina quell’animale venne da me. Come abbia saputo del mio nuovo domicilio è un mistero. Da una settimana soltanto, come sapete, sono andato ad abitare in borgo di S. Gottardo, dove mi sono ritirato credendo di fuggire i rumori della città, per finire una commedia colossale, che fra poco sarà rappresentata al teatro Re. Potevano essere otto ore al più; proprio quando il sonno ti ripiglia più serrato, che dài senza accorgerti la tua brava volta pel letto, e ti distendi voluttuosamente sotto le coltri a far l’ultimo pisolo. Io, ciuco, avevo lasciato l’uscio aperto, non so come: la notte, sapete, eravamo stati un po’ a zonzo a far chiasso, ma non ero ubbriaco però, e nemmeno brillo, che non vorrei — continuò abbassando la voce — non vorrei aveste a pigliar pretesto da questa mia confessione per farmi pagar la multa di temperanza. Dunque, come vi dicevo, egli entrò in camera e cominciò: “È permesso?...„ — con quella sua voce nel naso — “è permesso?... è permesso?„ — Io fingeva di dormir chiuso: anzi mi misi a russare come un contrabbasso, per veder se quell’animale aveva tanto muso da destarmi. Egli si avvicina al letto, si curva a contemplarmi, poi prende una sedia e si mette presso al capezzale. — Ah se tu aspetti che io mi desti da solo, stai fresco; — pensavo fra me. Se non che dopo una mezz’ora, l’usuraio, stufo di attendere, cominciò a chiamarmi per nome: “Signor Gustavo,