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MELCHIORRE DÈLFICO 199

della politica borbonica), raggiunge al corso «La Cerva» (l'esercito della Santa Sede, altro che cervi, daini, per la velocità delle gambe!), distrugge gli «Uccelli» che oscurano il Sole (il Sole è la testa d'Italia, gli uccellacci i Gesuiti), s'impadronisce del «Furioso Toro» (la reazione borbonica), punisce «Diomede» della sua crudeltà (strappa la lingua a due tremendi commissarii di polizia), disfà «Le Amazzoni» (i cannoni de' nemici), fa mutare il corso al «fiume Alfeo» (spinge Urbano Rattazzi sulla via del Berretto Frigio, quando pareva volesse correre quella del codino), vince «Gerione» (il triplice pericolo dell'Italia: il borbonismo, l'Austria ed il cardinale Antonelli), toglie «i pomi al Giardino delle Esperidi» (strappa al Vaticano il Potere Temporale, finalmente, libera «Teseo ed incatena Cerbero» (libera l'Italia ed incatena l'Austria).

3. La terza tavola ci mostra (vivo, in parola d'onore!) l'ultimo Ministro dell'infelice Francischiello ed insieme il primo della nuova Napoli, primo puranche ad aprir la interminabile serie dei Ministri-banderuola: Don Liborio Romano, il quale ebbe un così clamoroso quarto d'ora di celebrità, nei primi giorni di Garibaldi a Napoli e negli ultimi di Francesco II, che ancora i vecchi lo ricordano ridendo| Dèlfico ce lo fa vedere nel suo gabinetto, a ricevere gli altri impiegati del nuovo Governo. A destra gli sono Giuseppe Rendine (un vero galantuomo, morto anni fa), e notarjanni, suoi coadiutori, in fondo a destra, c'è lui, Dèlfico, carico di carte d'ufficio.

4. ;a quarta caricatura non ha bisogno di spiegazioni; c'è da ammirare un Camillo Cavour d'un grottesco magistrale, con accanto lo steso Dèlfico da soldatino italiano, entrambi appiattati per tirare sul bicipite nemico d'Italia, e, dalle labbra di Cavour escono due versi di vecchia canzonetta napoletana; che van tradotti così: «Se mi càpiti nell'acchiappatopi, quati strazii soffrirai!»

5. Qui, otto amici del caricaturista (c'è il dottor Chiala, c'è il vecchio ppeta Bardare, c'è di nuovo Rendine e Dèlfico stesso col clarinetto), vanno, rappresentanti delle principali città italiane, ad accompagnar, coi vari strumenti, Giuseppe Garibaldi, il quale, nuovo «Almaviva», canta la serenata a Venezia (bellina!) piangente di dietro alle graticciate del suo carcere. E quale orrenda testa di Don Bartolo si mostra dalla porticina di casa!...

6. E nemmeno la tavola successiva non avrebbe bisogno d'illustrazione. L'aspirazione degli italiani, con Venezia, era d'aver Roma, e Dèlfico mostra qui come il generale Enrico Cialdini, da solo, con uno strumento per nulla guerresco, sarebbe bastato a mettere in rotta l'esercito del Papa, composto da soldativi di legno.

Che vena comica indemoniata nella composizione!... Guardate la faccia del Generale-Cardinale al ricevere.... la doccia fredda in quel certo sito! Guardate con quanta fatica Cialdini gli scarica dietro quel salutare strumento!....

7. Si torna a Venezia. E poiché più che mai, in quel tempo, infiammava il pubblico italiano la bella musica del Trovatore, ecco Dèlfico a personificarvi una scena dell'aspirazione di tutta Italia. È superfluo dure che «Leonora» è Venezia, «Manrico» è Garibaldi (con quanta fierezza difende la donna!), il «Conte di Luna» è l'Austria.

E s'è visto mai niente di più comico dei due eserciti, l'uno di fronte all'altro, in fondo alla tavola?!

La spontaneità, l'eleganza, vorrei dire, del disegno, rendono tanto più simpatica la trovata, così scintillante di ardor patriottico.

8. E ritorniamo al Barbiere.

Questo che, meno ancora degli altri, avrebbe bisogno di commenti, è un vero quadro, nel quale «Figaro» — Napoleone III che scoppia dal ridere, tanto bene annegato nella risata, è d'una comicità irresistibile. Notate ancora il povero Francesco II nella immensa livrea del servo d'un prelato!

Bellissima, nella paradossale esagerazione, la faccia del prelato, colto da un accidente; ma riflettete all'altra, di scorcio, del prete, che lo sorregge, e giudicate quale artista fosse Dèlfico!

9. In questa «Ginnastica Politica Europea» notiamo figurine comicissime. Oh, quel carinale Antonelli cavalcato da Garibaldi! quel Liborio Romano su cui Silvio Spaventa eseguisce salti da circo equestre, e la faccia sempre ridanciana di Napoleone III! Momento politico scolpito più che dipinto: caricatura che illustra or la storia, come qui, ora la cronistoria, come più avanti.

10. Siamo alla più comica di tutte le caricature politiche del Dèlfico.

Chi è in paradiso? manco a dirlo, Garibaldi; alla sua destra è Cavour, la cui espressione attediata, per la musica che gli si fa dintorno (lui che sentiva la musica come un qualunque rumore!) è divina d'umorismo; a sinistra di Garibaldi, è Cialdini. Gli angeli teribolarii sono lui stesso, Dèlfico e Verdi (che fa la sua prima apparizione qui, nelle nostre caricature); Corsi, il critico musicale, suona la tromba in paradiso, e Bettino Ricasoli, il violino; ai Garibaldini sono affidati gli altri strumenti. Ai piedi, tre teste d'angioletti: Rosati, del quale