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198 ARS ET LABOR

Allora, qualcuno de' rari napoletani cosmopoliti gli consigliò di emigrare a Londra. Sulle prime, a Dèlfico sorrise l'idea, e mandò al Punch le sue grandi tavole.

Manco a dirlo, da Londra, il giornale gli fece le più vive premure perchè si recasse a dimorare colà, e gli promise cinque sterline per caricatura.

Il buon Melchiorre si staccò dalla famiglia, da Napoli, soffrendoci assai (troppo, si direbbe oggi), e parti per Londra.

Colà, le caricature firmate «Delf» nel Punch fecero furore; ed in breve, le migliaia di lettori del venerando giornaletto presero ad amare il caricaturista napoletano.

Ma, ahimè!... la nostalgia tardò poco ad impossessarsi dell'artista la cui matita prodigiosa faceva tanto ridere. Da lontano, traverso le caligine delle eterne giornate scure, monotone, desolanti, la sua famiglia, Napoli gli tendevan le braccia, ed allora lo intristivano profondamente i ricordi, le apparizioni fantastiche del mare ceruleo, splendente al sole, delle isole azzurrine, de' colli paradisiaci, fioriti di ville, del soffio delizioso della brezza di Mergellina e degli amici, de' compagni, cui una parola d'entusiasmo valeva assai più dei successi londinesi, tanto che il direttore del Punch ebbe un bel raddoppiargli il compenso delle caricature, Dèlfico scappò da Londra, insalutato hospite!

Presso il 1870, Melchiorre non seppe resistere all'idea di nuovi albi, meno grandi, la metà di quelli di dieci anni prima; e poichè l'arte riproduttiva aveva fatto passi giganteschi, le caricature gli costarono assai meno, onde potè darle ai nuovi abbonati — che furono in numero assai maggiore — per la metà del prezzo di quelle del 1860.

Così nacque Il Caos, che durò parecchi anni, e se cessò, più che ad altro, io credo si dovette alle condizioni finanziarie degli abbonati dei nuovi tempi.

Dèlfico, d'allora, dové accontentarsi della strenna annuale, tanto aspettata a Napoli, fino all'ultimo anno di vita del caricaturista.

L'ultima sua opera degli anni stanchi, fu l'albo in occasione delle feste di Pompei, nel quale tutti i Napoletani più popolari tra i suoi contemporanei, per miracolo della sua matita, s'incarnarono nei Pompeiani del tempo di Plinio!

Conoscevo Dèlfico da bambino, ma non avevo mai avuto occasione di avvicinarlo, non ostante egli fosse vissuto in amicizia fraterna con un mio zio. Da giovane, invece, entrai in dimestichezza con lui, quando, nel 1883, ci trovammo insieme nella redazione d'un giornale umoristico napoletano, Il Caporal Terribile, pel quale egli tornò alla caricatura della domenica.

Io lo vedevo talvolta lavorare sulla pietra litografica, giacché quasi ogni giorno egli era in redazione; più spesso sdraiato su un sofà, con l'eterno sigaro napoletano tra le labbra: muto, pensoso, rispondendoci con monosillabi, estraneo a quanto accadeva intorno a sé.

Oh, non si sarebb'egli detto l'uomo disilluso, sopraffato dalla tristezza? «Possibile? disilluso il caricaturista cui finchè visse, Napoli on preferì nessun altro? Il musicista, piuttosto, chè le sue opere, da anni, non si riproducevano» pensavo; e ricordando il suo soggiorno a Londra, non avevo forse ragione di credere che Délfico scambiasse la redazione del Caporal Terribile con quella del Punch?!

Niente di tutto ciò, il povero amico incominciava già, nel 1883, ad essere afflitto dal male che, dodici anni dopo, doveva ucciderlo. E, vedere la fatalità, il Principe della Caricatura, che aveva fatto ridere mezzo mondo, morì d'ipocondria, nel 1895.

Le Caricature.

Altro che il diradarsi della «nebbia degli anni»! A percorrere le tavole di queste vecchie collezioni, è come se il sipario si levasse sur altrettante rappresentazioni sceniche dei tempi andati; tale la suggestione che esse esercitano su quelli che non sono più giovani, e che conobbero i caricaturati.

1. Incominciamo con una specie d'allegoria, che Dèlfico chiama «Mondo Vecchio e Mondo Nuovo», dell'arrivo de' primi Garibaldini a Napoli e del capitombolo de' «codini», i borbonici, che i vincitori cacciano dalla scala del potere. Garibaldini son tutti conoscenze del caricaturista, abbiano o pur no vestita la camicia rossa, guidati da lui stesso, vessillifero. I borbonici che precipitano giù dalla scala, a game all'aria, han tutti le teste delle bestie più paurose, e gli altri, già caduti, che annegano nell'acqua, han le facce di servitori leccazampe della dinastia spodestata.

Da sé sola, questa prima tavola, dà l'idea della sveltezza che possedeva il tocco del caricaturista.

2. La seconda tavola mostra la brillante fantasia del Dèlfico dedicata all'«Ercole Garibaldi» ed alle sue dodici fatiche (le quali furono assai più) l'Eroe de' Due Mondi strangola «Il Leone», Francesco II di Borbone (tanto coniglio, invece, quel poveretto!); uccide «L'Idra» vaticanesca, conduce «Il Cignale» Ajossa (uno degli ultimi personaggi