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LE MINIERE CINABRIFERE DEL SIELE 205

Ci dirigiamo all'edificio esterno della miniera: l'opera ferve, carrelli di materiale corrono su piccoli binari, diretti ai forni; nelle officine dei fabbri, dei falegnami addetti ai continui bisogni della Miniera, si lavora attivamente,; le dinamo sono in piena attività, i motori rumoreggiano, gli operai vanno e vengono affaccendati.

Osservo una cosa subito: il rispetto grandissimo, che d'ogni parte accoglie la comitiva. Per quell'attimo, nel mentre noi passiamo da un locale all'altro, il lavoro è sospeso, le braccia si arrestano: chi ha il cappello se lo toglie, chi non l'ha saluta con la voce. Nessuna sevilità: un doveroso e pur spontaneo omaggio di cortesia, da lavoratore a lavoratore, più che da operaio a padrone. Si vede che i rapporti fra gli uni e gli atri sono meglio che corretti, cordiali. Gli ingegneri interpellano gli operai con una dignitosa famigliarità, che non può trovare rispondenza di simpatica e di premura nell'animo dei lavoratori.

Io, che, più di ogni altra curiosità della scienza, sono appassionata delle curiosità delle anime, mi propongo di far subire alle mie guide un interrogatorio in proposito. Ma ora, non è il momento. Su dal pozzo, che s'apre nel mezzo dell'edificio, si affaccia la gabbia dell'elevatore: bisogna prendere la lampada, legarsi al meglio le sottane alla cintola ed apprestarsi allo sprofondamento.

La gabbia è, in realtà, una piattaforma riquadra di ferro: da due lati scorre, per mezzo di funi metalliche, sull'armatura dell'ascensore, da due altri lati è perfettamente aperta sopra l'abisso; una sbarra di ferro, all'altezza poco più del ginocchio, preserva solo alla caduta. Siamo in quattro e ci tocca starcene uno a ridosso dell'altro, bene stretti per non farci arrotare le spalle dall'armatura dell'ascensore, sulla quale rapidamente strisciamo. Poiché il pozzo serve anche all'estrazione dell'acqua dalla miniera, su noi cade una piova fredda e nera; le lambade ad acetilene che teniamo strette a noi, col rischio di metter fioco alle vesti, illuminano abbastanza il pozzo da farci scorgere le pareti rotonde, ora scavate nella roccia viva, ora rivestite di pietra là ove la roccia manca. Si passano così due piani, le cui aperture sfuggono improvvise sulla parete. Al terzo ci arrestiamo e scendiamo.

Questo pozzo, chiamato Raffaello (ve ne sono altri due: Emanuele e Carpine) non arriva che al quinto piano o livello — 208 metri — ed è collegato al sesto piano — 238 metri — con un pozzo interno scavato in vicinanza al giacimento, il quale, a quella profondità, si è allontanato dal giacimento superiore sfruttato dal pozzo Raffaello.

in fondo alle miniera. La dinamo per il trasporto del materiale.

Sbarcati al terzo piano, ci infiliamo l'uno dietro l'altro nella stretta galleria. Il giro incomincia, ed insieme incominciano le spiegazioni degli ingegneri, sulla formazione del terreno, sulla composizione del minerale: la geologia, la mineralogia, anche la chimica e la fisica, passano dinanzi ai miei occhi con tutte le loro formole. ma io preso un orecchio solo relativamente attento: lo scrittore, l'artista, ha una facoltà tutta sua speciale: quella di trovar ragione di pensiero, piuttosto che dai grandi argomenti, dai piccoli frustoli d'argomento.

Nel mentre a balzelloni, a tentoni, or diritta, or piegata in due, giro, svolto, discendo, scapicollo,