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LA VALLE DEL BUSENTO

E LA SUPEOLTURA DI ALARICO

Non so se sia leggenda o storia, perchè Paolo Diacono fu il primo a narrare come qui giunto nel 412 Alarico re dei Goti, che aveva già saccheggaito Roma, che aveva già manomesse molte altre città d'Italia e vi morì: è incerto se di febbre o di una frecciata, chè i cittadini asserragliatisi nell'antica rocca Bruzia, la quale aveva osato difendersi contro Roma e aveva accolto Annibale sol perchè di Roma nemico, non si erano perduti di animo alla vista delle innumeri schiere barbare accampate sul greto del sottostante fiume; e dalle gloriose mura si erano dati a trarre pietre e frecce contro gli invasori. Ma Paolo Diacono scrisse ben centoventi anni dopo la morte di Alarico, quale fede dunque egli merita se non sull'avvenuta morte e sull'avvenuta sepoltura sui particolari della sua narrazione? È vero però che era costume dei Goti di seppellire i loro capi, morti combattendo, armati a guerra sul cavallo di battaglia e col bottino ch'era loro spettato: e quindi poichè non vi ha dubbio alcuno che Alarico qui morì e qui fu sepolto alla confluenza del Crati col Busento, dobbiamo tener per fermo, come ha testè dimostrato un dottissimo tedesco, che anche con lui fossero seppelliti gli ori, gli argenti e le gemme che il re barbaro aveva rapinato a Roma e nelle altre città da lui conquise.

Ed anche il Platen era di questa opinione. Venuto qui nel 1837 per conoscere questi luoghi sì cari alla fantasia dei poeti e dei romanzatori, scrisse quei versi dal titolo La tomba del Busento, che sono a tutti noti per la traduzione che ne fece il Carducci:

Cupi a notte canti suonano
Da Cosenza sul Busento,
Cupo il fiume gli rimormora
Da'l suo gorgo sonnolento...

Su e giù pe 'l fiume passano
E ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono
Il gran morto di lor gente.

E d'allora il re goto è divenuto nostro concittadino, sicchè il suo nome barbaro si è sposato al nostro.

la valle del busento. Ah, se il vecchio cuore di quel re avesse palpiti, se i suoi occhi avessero lagrime, quante ne avrebbe versate e quante ne verserebbe sulle nostre sorti| Povero re barbaro, che deve esser grato a questa terra, la quale lo ha accolto nelle sue viscere e ne è gelosa custode, difendendolo contro la ingordigia di molti che invano frugarono e rifrugarono per trarne le ossa.... e con le ossa gli ori, gli argenti e le gemme! Come deve esser grato a noi che demmo il suo nome al nuovo ponte: infine abbiamo onorato similmente tanti che ci avevan fatto più male che bene; abbiamo innalzato e poi abbattuto tante statue lungo i secoli, a tanti re che in fondo si infischiavano di noi pur succhiandoci il sangue delle vene, mentre il povero Alarico, quantunque barbaro e pure essendo un re, se non ci ha fatto del bene, non ci ha fatto neanche del male. E come deve essere grato al vecchio Busento che anche adesso, mentre scrivo nella mia povera casetta, la quale sorge presso le sue sponde, gli va rimormorando la vecchia nenia che non ha interrotto mai!

Ed a qeusta ora della notte in cui scrivo per lettori ignoti che forse nulla sanno dell'opera mia assiduamente intesa ad evocare le memorie di questa vecchia terra, la quale un tempo fece parte di quella Magna Grecia che fu la culla della civiltà latina, come adesso è il regno della squallida miseria; e per lettrici ignote che usate alle sottigliezze raffinate dell'arte moderna nulla sanno delle pre-