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Pagina:Ars et Labor, 1906 vol. I.djvu/61

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Colla vecchia fede della libertà nell'ordine — non mai smentita in quarant'anni di giornalismo — ritorno, con gioia, nella antica e gloriosa officina tipografica di Casa Ricordi. E come nel 1871, sotto la maestranza indimenticabile di Antonio Ghislanzoni e di Salvatore Farina, io redigeva con lena giovanile lo “sguardo quindicinale politico„ nella simpaticissima Rivista Minima — così con zelo, ma turato dagli anni e dai disinganni, ritorno oggi ad assumere, il congenere ufficio, in Ars et Labor — simpatica propaggine della forte dinastia giornalistica, che da ben sessant'anni, batte intellettuale bandiera, dagli spalti di quest'impavido baluardo, rappresentato dai simbolici tre anelli, incatenati all'arte il lavoro — auspice e favente la Casa, le cui tradizioni di coraggio, di fermezza e d'ingegno — furono e si mantengono lustro della patria, nonchè onore e vanto del progresso mondiale, nella sua più geniale e casa espressione.

E riprendendo nel novissimo concerto delle più passionalmente suggestive della estetica artistica — anche la modesta ma sincera, nota politica internazionale, sull'attimo che fugge, e che si integra nel mese che scorre. Una nota piccina, facile, senza asprezza di accidenti in chiave. Una nota, perfettamente obbiettiva, e scevra pertanto, d'ogni preconcetto di enarmonica partigianeria. Una nota infine, le cui vibrazioni, finiscono col trovare non isgradita accoglienza dalla cassa del timpano d'ogni orecchio evoluto, e raffinato al punto di accettare, soddisfatto, perfino la parte buona — che è la minima — della eco politica — : pare inesorabilmente respingendone, i chiassi volgari, le banalità rumorose e le stonazioni di quinta: cacofonici effetti di stridenti e pazze demagogie.

Così, lumeggiati, i propositi — ci mettiamo in cammino — e senz'altro proemio — passiamo alla manovra degli ultimi dischi, animati dal misterioso impulso del nostro “ monarch „ mensile. E dolenti, di dover inaugurare il rapido pot-pourri del nostro grammofono — sovra un lagrimoso minore. E questo ci giunge dalla Russa infelicissima — dove una immane catastrofe, va continuando lo sprofondamento della collettiva anima popolare rappresentata da centrotrenta milioni di sudditi. Per costoro, fino a ieri, la Vita per lo Czar del leggendario Glinka — costituiva l'inno nazionale. Ma una guerra sfortunata, nell'Oriente estremo, ed una lotta civile interna — fra l'autocrazia cieca e violenta, e la resistenza disperata della borghesia e del proletariato operaio — hanno — duplice torpedine — squarciata una enorme falla nello scafo della allegorica nave dello Stato. Così che mentre questa sembra in procinto di calare a picco — il mondo assiste, attonito e commosso, alle fasi di salvataggio che il giovane Czar, ed il suo primo ministro De Witte, tentarono con mirabile energia, per iscongiurare un irreparabile disastro, e parlando alle genti la parola redentrice, che si inspira alla necessità della calma all'oggi, per conquistare la libertà del domani. Ma assiste il mondo — pur troppo! — anche agli atletici conati della reazione, la quale non ha disarmato, nemmeno davanti alle solenni declaratorie costituzionali del “ piccolo padre „; e nulla lascia intentato per provocare dagli estremi le più spaventose rappresaglie contro i liberali, che hanno ormai consacrata la propria esistenza ad un rinascimento completo della patria moscovita....

Basta un diario — a scelta — di tutto quanto si svolge adesso a Tsarkoie-Zelo, per concludere — che tutti questi giorni russi si valgono l'un l'altro e si equivalgono — nella serie dei tristi, dei nefasti, dei miserandi ed incombenti come una maledizione sul colosso del Nord — già emblema di onnipotenza muta, cieca e sorda — oggi abbominazione delle abbominazioni, infinita miserie, autentico orrore, in cospetto della intiera umanità. Un diario — diciamo — a scelta — di qualsiasi giornata, nella reggia imperiale. Niccolò II, pallidamente curvo sui rapporti, che si accumulano a montagna dinanzi a lui. Ad ogni ora, un nuovo evento terribile. Sono le bande di scioperanti che che abbattono, furibonde, i fili telegrafici fra Pietroburgo e Mosca. Sono i telegrafisti finlandesi, che abbandonano gli apparati, giurando di non riprendere il loro ufficio se non a sciopero composto. Sono le linee ferroviarie rese inservibili dai picconi di centinaia di guastatori volontari. Sono i saccheggiatori di quaranta vagoni che attaccano le Stazioni, e ne fanno prigionieri gli impiegati. SOno i giornalieri di Rostoff sul Don che incendiano opificii industriali. SOno i contadini di Riazan che impegnano una specia di guerra servile, contro gli agrarii possessori o conduttori delle terre. Sono le spasmodiche notizie, dal Caucaso, degli scontri fratricidi, in piena rifioritura cruenta fra Tartari ed Armeni. Sono la ripresa dei massacri e la impunità degli assassini, che daccapo si accentuano da Tiflis ed a Karis. Sono le stragi di Riga. SOno le violenze in Livonia. Sono gli scioperi immani di Pietroburgo e di Mosca....

E non basta, e non basta ancora. La marina di guerra non tenta l'ammenda delle ribellioni di Odessa, di Kronstadt e di Wladivostok. Come una grande sfinge, genuflessa ed accosciata sul mare — la marina militare tace, è inerte, s'immobilizza in chi sa mai quali torbidi pensieri di futura sommossa. L'esercito, a sua volta, balena di ammutinartici minaccie. Gli ufficiali non sono più sicuri dei soldati. Non lo sono più i generali degli ufficiali. Attraverso tutte le caserme della Russia del sud, passa fremebondo l'uragano degli appelli sovversivi, e dell'eccitamento all'insurrezione, ed alla fraternizzazione dei reggimenti col popolo, di cui “ sono la parte più bella „. Un telegramma del generale Linievic, annuncia ch'egli non risponde più della fedeltà dell'esercito di Manciuria, del quale i militari effettivi si sono già ammutinati, ed i riservisti rifiutano il soldo ed esigono l'immediato licenziamento. La Polonia, malgrado le suadenti encicliche di Pio X — il supremo gerarca invitante alla calma e all'obbedienza — la cattolicissima fra le nazioni — si apparecchia a svolgere un'altra pagina del suo secolare martirologico. Ed è vano che Gugliemo II assicuri lo Czar che ad ogni modo i suoi elmni a chiodo marcierebbero dal Posen in aiuto dei rotondi berretti dei moscoviti, in caso d'una rivolta dei discendenti da Giovanni Sobiewsky, perocchè i padroni della terra non hanno presa sugli eterni destini di Dio. Ed uno di questi afferma che i popoli non possono morire della morte degli individui....

Questa — diciamo — è su per giù una delle giornate di Tsarkoie-Zelo. Lo Czar seguita ad esaminare la valanga dei dispacci. La bella e bionda ed augusta tedesca — la