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MURANO E LE SUE VETRERIE 8

semplici boccette per l'inchiostro e fiale da farmacia, e perline da infilare, alle coppe, alle alzate, ai lampadari, alle cornici da specchi, ai servizi da tavola, gli uni più lussuosi ed ornamentali degli altri — prende la via di terra e di mare, per l'interno e soprattutto per l'estero.

isola di Murano: rio de' vetrai. Il riflesso di questa vita di febbrile alacrità, che, in fumose officine, da forni ardenti, dalle mani di uomini scamiciati, trae a mille e mille le fragili, iridescenti, pallide, esili meraviglie del vetro — si ha a Venezia, ove ogni fabbrica, in grandi saloni di vecchi palazzi, tiene esposti alla vendita i suoi prodotti.

La più sontuosa di queste sedi è senza dubbio quella della Società Venezia-Murano, ch'io visitai in una bella giornata del passato e ancor prossimo autunno.

Non mai Venezia m'era parsa più bella, più maliosa. Avevo passato un'ora di perfetta solitudine nel più gaio, agitato, vibrante affollamento in piazza S. Marco. Fra le undici e il mezzogiorno, quando la giornata è serena ed un po' fresca — come in quel giorno — la folla cosmopolita, che è come la popolazione tipica della vaga città, si affolla in quella parte della piazza che il sole fu tutt'accesa e tutta tiepida.

Io impiegai quell'ora di tempo a fare il tragitto che corre, fra la chiesa di S. Marco e il lato opposto della Piazza: qualche centinaio di passi. Ad ogni tratto mi arrestavo, mi volgevo su me stessa, col naso in aria, con gli occhi curiosi e incantati, la bocca aperta e sorridente — in una espressione di beatitudine, che qualcuno magari avrà qualificato per idiota, ma che io voglio chiamare supremamente intelligente. Poichè, per esternare in modo così rappresentativo sui tratti della fisionomia, la gioia, l'incanto, la serenità, la stupefazione ammirata, sensazioni tutte che conferiscono all'anima quell'assenza di nervosità, di eccitamento, di preoccupazione che troppi gabellano per squisitezza di sensibilità e di intelletto — bisogna essere in grado di sapere profondamente analizzare l'ambiente ed acutamente studiarne le particolarità e gagliardamente sentirne ripercosse nell'anima le mille vibrazioni che i sensi ne ricevono.

Quella mattinata pura, dorata, azzurra, che il meraviglioso riquadro delle Procuratie e di S. Marco chiudeva come in cornice preziosa; quella folla lieta, signorile che ondeggiava curiosa e ciarliera sotto l'assalto svolazzante dei mille e mille colombi; quei gruppi di bimbi forestieri, dai capelli biondi di seta, con le gambe nude e le mani guantate, che tendevano i cartocci di granturco ai voraci assaltatori e ne ridevano e ne acclamavano con parole strane e sonore l'originale spettacolo — tutta quella bellezza, quella grazia, quella signorilità era unicamente fatta per la letizia del pensiero e del cuore.

Nessuna “preparazione psicologica„ migliore potevo io augurarmi per visitare la sede della Società Venezia-Murano, quel magnificao palazzo Da Mula il quale, nel più bel punto del Canal Grande, distende la sua scontrosa facciata, rehaussée — come dicono i francesi — di magnifici musaici, che nella chiarità meridiana, schizzano scintille e lumeggiano di colori vivi, come per entro un'icona bizantina. E veramente, quelle vaste sale, piene zeppe di cristalli d'ogni forma, d'ogni tinta, d'ogni sfumatura, sembrano serre ove tutta una flora fantastica schiuda le sue strane corolle, apra ed accartocci i suoi petali bizzarri.


nell'officina della compagnia venzia-murano. Io non so quante sale visitai — ma furon molte. Né so ciò che vidi — a so che vidi di gran cose. Così, come lo sguardo si affatica in mirare lo scintillamento di un prisma che tutti accolga e rifranga i colori dello spettro solare, i miei occhi subirono il barbaglio delle accese tinti che ognuno di quei cristalli, come raggio di sole, rifrangeva.

l'affollare delle belle cose fu tale, anzi, ch'io, ora, non ricordo punto ciò che vidi: coppe e vasi e patere e boccie, e caraffe e bicchieri e alzate e portafiori e trionfi e lumiere e cornici e calici bensì vidi a mille: ma se dovessi dire, ora, qual cosa mi piacque di più e più mi colpì, di quel favoloso