Pagina:Atlantide (Mario Rapisardi).djvu/135

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Canto sesto 135


Apparecchiata alla pomposa scena
     E ornata d’orifiamme e di ghirlande
     Della città fu la più vasta Arena,
     Che chiamata fu poi dell’Atto Grande;
     Piantârvi in mezzo, a renderla più amena,
     Una quercia, ch’avea maschie le ghiande,
     Ed un alloro che tra’ rami belli
     Più paja avea di penduli baccelli.

L’alba sacra alla festa alfine è chiara,
     Se più chiara dell’altre ognun se ’l pensi,
     Ed all’Arena, o per dir meglio all’ara,
     Tutti accorron dovunque in flutti immensi;
     Molti per aver posto, in aspra gara
     Tra ’l pigiare e il lottar perdono i sensi;
     Molti a suon di pedate e di cappiotti
     V’entrano a calli pesti e a musi rotti.

Campo non fu che in quel mattin solenne
     Sentì del duro agricoltor la mano;
     Sciolto da’ consueti oblighi venne
     Perfino il bue dall’avido villano;
     Dal prender volo ogni cassier s’astenne,
     S’astenne dalle cacce il pio sovrano,
     Dall’erba i tauri, dalle pere gli orsi,
     E i tribuni plebei dal far discorsi.