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204 Atlandide


Lo riconobbe Esperio, e con dischiuse
     Braccia incontro gli corse, e: O dolce amico,
     Scotendolo dicea, le nostre muse
     Dunque scordasti e il nostro affetto antico?
     Ei le torbide in lui palpebre schiuse,
     Qual uom d’ogni più lieve opra nemico;
     Scrollò le spalle, e socchiudendo i rossi
     Occhi, calmo ghignando, addormentossi.

Move oltre Esperio, e qua e là seduti
     All’uggia dei succosi alberi lenti,
     Giovani vede inerti e ben pasciuti
     Come tranquilli ed aderbati armenti:
     Adipose han le pance, i crin canuti,
     Smorti gli sguardi, i volti indifferenti,
     Se non quanto si muta il lor cipiglio
     In un lungo, sonante, ampio sbadiglio.

Matta Lascivia di buon’ora a queste
     Piagge li ha tratti e affascinati e vinti;
     E poi che insinuò l’acre sua peste
     Nei molli corpi e l’ebbe quasi estinti,
     Spremendone con dolci arti funeste
     L’ardor nativo e i generosi istinti,
     A riempirne le sgonfiate cuoja
     Gittolli in preda all’Ozio ed alla Noja.