Pagina:Atlantide (Mario Rapisardi).djvu/257

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Canto dodicesimo 257


Tace il bel canto, ma nell’aure ancora
     Propagando si van l’onde sue liete,
     Qual nell’impaziente anima l’ora
     D’un convegno d’amore si ripete.
     Nuota d’Esperio il cor su la canora
     Corrente, qual colomba all’aure chete,
     E trarre al lido irresistibilmente
     Da un arcano ondeggiar d’ale si sente.

Apresi in arco il lido, e ti par bionda
     Luna, che all’invernale aria, soletta
     Vigilando s’incurvi a baciar l’onda,
     Che abbrividendo e scintillando aspetta.
     Selve vocali di cerulea fronda,
     Poggi velati d’opalina erbetta,
     Campi infiniti di perpetui fiori
     D’una pace divina empiono i cori.

Fermasi Esperio trasognato, e gira
     Gli occhi al cielo, alle selve, ai prati, ai colli,
     E d’una voluttà nova sospira,
     E di pianto soave i cigli ha molli;
     Ma più di tutto la compagna ei mira,
     Nè di mirar son gli occhi suoi satolli,
     Però ch’Edea sotto l’amata vista
     Bellezze nuove ad ogn’istante acquista.