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termina sull'attuale suolo della Farnesina da una parte e sotto il Gianicolo dall’altra, per una estensione di oltre cinqne chilometri.

Infatti, a tacere di un passo di Marziale1 di ambigua interpretazione, noi troviamo che lo stesso poeta in un altro luogo rammenta i vasi vaticani con questo distico:

Quid te, Tucca, iuvat vetulo miscere Falerno
In Vaticanis condita musta cadis?


Che anche Giovenale parla dei piatti vaticani:

Simpuvium videre Numae, nigrumque catinum
Et vaticano fragiles de monte patellas,


e che un passo di Plinio ricorda un gran piatto, chiamato scudo, fatto costruire da Vitellio in apposita fornace dei campi vaticani. Di più, tutti sanno che anche nel Corpus sono notati sigilli, i quali accennano per ragioni speciali a quella località e hanno l'indicazione delle vie Aurelia e Trionfale e delle figuline subortane, cosi chiamate dai sovrastanti orti di Domizia.

Poiché non mi è dato di trattenermi più a lungo sull’argomento, conchiuderò con un’ultima osservazione.

È cosa notoria che nei diversi tempi, insieme con gli altri elementi paleografici, varia la forma dei diversi sigilli. L' orbiculum, da principio grandissimo, a mano a mano tende a impiccolirsi, fino a che nei sigilli posteriori a Diocleziano scomparisce del tutto. Per tal modo i bolli, prima di forma lunata, a poco a poco diventano completamente circolari. Ma fra i sigilli del tetto della chiesa di s. Martino ai Monti io rinvenni un esemplare interamente sconosciuto che per la forma delle lettere, per la formula epigrafica e per l’uso della croce, deve in ogni modo riferirsi al quinto o al sesto secolo, e pure ha la forma sottile della falce, cosi usata nel secolo I. Un esempio isolato non può fornire certo argomento a considerazioni generali, ma ravvicinato il nostro campione ad altre varietà della medesima epoca esistenti nel Corpus, foggiate a spicchio di luna o all’antichissima maniera bustrofeda, ne abbiamo potuto inferire che verso il secolo V o il VI si venne manifestando una certa tendenza a imitare forme più vecchie, come il ritorno di una moda di altri tempi. Quale sia stata la portata di questo movimento non è lecito per ora dire; certo esso fu, per quanto apparisca in forma modesta, uno di quelli isolati tentativi di rinascenza che poi, durante tutto il medio evo, proseguirono la tradizione dell’antichità.


Continuando le ricerche ed estendendole ai tetti di tutte le basiliche di Roma non dubito che altri buoni risultati se ne avrammo, ma perchè la povera e modesta opera mia divenga davvero feconda di bene, io mi auguro che gli uffici regionali di antichità, anche fuori di Roma, facciano condurre le ricerche iniziate da me con qualche fortuna. Che questo mio desiderio sia per tradursi in atto, ne fa fede una lettera dell’onorevole ministro della pubblica istruzione; ad ogni modo io chiedo che questo mio voto sia formalmente unito agli altri che saranno formulati dal Congresso.

Mons. Pietro Crostarosa.

  1. Mart., Epigr., XII, 48.