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del conte monaldo leopardi 95

si pestavano con le mazze, e posti in grandi cassoni si trasportavano a satollare la rapacità della Repubblica madre, e dei cittadini commissarii suoi figli. La nostra chiesa catedrale, che niente aveva consegnato al Papa, perdè una ricchezza, e soprattutto fu lagrimevole la perdita di un altare amplissimo di argento e metallo indorato, che donatogli pochi anni prima dal vescovo nostro Mons. Ciriaco Vecchioni, formava il decoro della città, e la meraviglia dei forastieri. Il solo espositorio era alto sedici palmi e mezzo, e costava seimila scudi. Il bottino raccolto dai Francesi con questo mezzo in tutto lo stato, fu immenso.

Quasi allo stesso tempo venne un tale Haller, commissario generale delle contribuzioni, e tassò tutti i paesi senza pietà. Che titolo avesse quella contribuzione straordinaria e irregolare si ignorò, ma non era tempo di discussioni, e Recanati fu tassato per ottantamila scudi di argento. L’enormità di questa somma, e in un momento in cui non ci era moneta affatto, ci sbalordì, e non si ebbe altra risorsa che lo spedire deputati a Roma per ottenerne una diminuzione vistosa. Venimmo destinati a questa missione il Marchese Carlo Antici ed io, ma non volli assumerla per quanto me ne pregassero accaloratamente il mio suddetto cognato e mia moglie, i quali speravano potersi con quella ambasciata minorare alquanto il male umore che le autorità republicane mostravano contro di me come Aristocratico dichiarato. Io ero determinato di non rappresentare alcuna parte nel Governo usurpatore, e quantunque io sia piuttosto pieghevole nelle circostanze isolate, sono stato sempre tenacissimo nell’osservare i proponimenti che ho fatti per massima, e riconosciuto un principio non ho mai operato contro di quello. Antici partì dunque senza di me e fratanto la Municipalità nostra, dovendo prepararsi al pagamento ordinato, procurò denaro con varii mezzi, ed ottenne in prestito