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Pagina:Autobiografia di Monaldo Leopardi.pdf/194

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180 appendice all’autobiografia

ranze, le smanie, i dolori, gli affanni, la disperazione del l’infelice Poeta?

Pertanto non tornerà forse sgradito ai lettori che qui si discorra alcun poco di quella biblioteca. Se dessa è ora oggetto vuoi di culto e di venerazione, vuoi di superstizione, vuoi anche di semplice curiosità, è massime per Giacomo; nessuno lo niega.1. Ma non dimentichiamo però che essa fu interamente opera di Monaldo. Il tacerne dunque sarebbe omissione non lieve. Noi, al nostro solito, faremo parlare lui stesso, per quanto è possibile; e quando ei tacerà, allora ci studieremo di supplir noi, come abbiamo già altra volta av vertito, colla nostra parola.

«Nella più tenera infanzia (così è narrato in un com mentario inedito contenente delle Memorie intorno la biblioteca e scritto nel decembre del 1822) non so come o da chi mi venne ispirato desiderio grandissimo di sapere e va ghezza somma di possedere quantità grande di libri, tanto per cavarne profitto letterario, quanto per farne ornamento della famiglia. Per acquistare dottrina lessi molto, e studiai pure alquanto; ma non riuscii, perchè non seguii metodo giusto, nè ebbi scopo determinato, e perchè nell’età di anni 18 fatto capo e direttore della famiglia e talvolta della città, mi mancarono il tempo e la pace per accudire ordinata-

  1. I visitatori della biblioteca lasciano il loro nome in un libro a ciò destinato. I più vi aggiungono anche delle sentenze. Ve n’ha di tutti i colori: affettuose, nobili, scialbe, ridicole; e, direi quasi, di tutte le lingue: latine, greche, ebraiche, francesi, tedesche.... A titolo di saggio riportero le poche parole che affidarono a quel volume due scrittori, tuttora viventi, che tanto hanno affaticato il loro ingegno e la loro penna sopra le opere di Giacomo: «Bonaventura Zumbini di Cosenza visitd questa Biblioteca il di 24 Maggio 1872, e compì il suo antico voto d’inginocchiarsi dove il Leopardi immaginò e scrisse cose immortali» - «24 marzo 1878, Prospero Viani vide, pianse, venerò.»