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gl’Indiani del Perù prima che gli Spagnuoli fossero approdati in quella contrada. In una notte della piovosa stagione di marzo, correndo l’anno ventesimo quarto da che posi piede la prima volta in quest’isola, io giacea nel mio letto, o letticciuolo pensile, ma svegliato; perchè, se bene in ottimo stato di salute, senza sentire dolore od incomodo, o disagio di corpo, e nemmeno di mente più che d’ordinario, non potei in tutta la notte chiudere gli occhi: cioè prendere tal sonno che veramente fosse un dormire.

Egli è impossibile il contare lo sterminato numero di pensieri che mi girarono per tutti i labirinti del cervello e della memoria nel durare di quella notte. Ripassai in compendio o, percosì esprimermi, per iscorcio tutta la storia della mia vita sino al momento del mio arrivo in questo deserto, ed anche una parte di essa da che vi fui. Nel meditare le cose occorsemi dal primo momento che il mio destino mi vi balzò, paragonava la felice mia posizione nei primi anni che vi soggiornai, e la vita d’angosce, di travagli e paure che vi ho condotta fin da quando vidi un’impronta di piede umano sopra l’arena. Nè credeva io già che i selvaggi non avessero frequentata quest’isola, e che parecchie centinaia di essi non vi fossero sbarcate anche prima ch’io mi fossi accorto di loro. Ma finchè, non gli avendo mai veduti, io non poteva concepirne il menomo timore, vivea perfettamente tranquillo, ancorchè il mio pericolo fosse lo stesso, ed era felice come se veramente non mi fosse mai sovrastato. Ciò somministrava alla mia mente molta copia di salutari considerazioni, e singolarmente su l’infinita bontà di quella providenza che nel suo governo del genere umano ha posti alla vista e cognizione dell’uomo tali opportuni limiti, per cui camminando egli in mezzo a migliaia di pericoli (l’aspetto de’ quali se gli apparisse com’è, ne travaglierebbe la mente e ne deprimerebbe gli spiriti) si mantiene sereno e tranquillo sol perchè gli eventi delle cose rimangono celati al suo sguardo, e non sospetta i rischi dai quali è circondato.

Poichè questi pensieri mi ebbero intertenuto per qualche tempo, cominciai a pensar seriamente al vero pericolo in cui m’aggirai per tanti anni in questa medesima isola, all’intrepida sicurezza onde me ne andava attorno con ogni possibile tranquillità, intantochè null’altro forse che un giogo di monte, o un grand’albero, o l’avvicinarsi della notte, si erano frapposti fra me e la più atroce calamità: quella di cadere nelle mani di cannibali che si sarebbero impadroniti di