Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/624

Da Wikisource.
552 robinson crusoe

«Alla seconda notte mi toccò parimente d’andare a letto così digiuna, avendo solo bevuta una tazza d’acqua. Addormentatami, sognai di trovarmi alla Barbada in mezzo ad un mercato zeppo di cose buone a mangiarsi, d’averne fatta provvigione d’alcune, poi d’essermi posta a tavola e d’aver mangiato con grande appetito. Mi parve d’aver con ciò satollato il mio stomaco come chi venga via da un pranzo lautissimo; ma svegliatami, qual fu l’oppressione del mio spirito all’accorgermi ch’io provava più che mai le angosce della fame! Bevei l’ultimo bicchiere di vino che mi restava mettendovi entro un po’ di zucchero e sperando che quanto v’è di sostanzioso in questa droga, mi tenesse luogo di nutrimento; ma non essendo nel mio stomaco alcuna sostanza su cui gli organi della digestione potessero esercitare l’ufizio loro, l’effetto derivato dal vino fu di sollevarmi disgustosi vapori dallo stomaco e portarmeli alla testa, onde io rimasi per qualche tempo, così m’han detto, stupida, insensata e come ubbriaca.

«Nella mattina del terzo giorno, dopo aver passata la notte fra sogni strambi, confusi e sconnessi e sonnecchiato più che dormito, mi svegliai rabbiosa e fatta furente dalla fame. Il delirio del mio furore famelico era tale che, se fossi stata una madre e avessi avuto a canto il mio bambino, non giurerei, semprechè questa considerazione non m’avesse tornata padrona del mio intelletto, non giurerei di non aver potuto divenire capace di un matricidio. Durò tre ore tal mia frenesia, nel qual tempo diedi due volte in pazzie che non ne fa di minori qualunque poveretto rinchiuso nel Bedlam (l’ospitale dei pazzi), come mi raccontò il mio giovine padrone e come potete sentirvelo confermare da lui.

«In uno di questi accessi di demenza caddi battendo la faccia contro di un angolo del letticciuolo della mia padrona con tanta violenza che mi fece sanguinare il naso. Veduto ciò, il mozzo di camera mi portò un picciolo bacino, entro cui, sedutami sul tavolato, lasciai piovere molta copia di sangue, dal che, come accade dopo un salasso, fu abbattuta la violenza della mia febbre e scemato anche in qualche parte l’ardor vorace della mia fame; per allora ricuperai la ragione. Poi mi riassalsero le nausee; mi provai a vomitare, ma non potei rigettar nulla, perchè nulla eravi nel mio stomaco. Dopo avere perduto il sangue per qualche tempo, caddi in tal deliquio che mi credettero morta; ma rinvenuta bentosto, mi sentii