Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/112

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Era da tutti ritenuto per un mago, per uno stregone, pel Diavolo stesso, e perciò lo rispettavano, lo temevano.

Codest’uomo era venuto accompagnato dai suoi più intimi e da un suo figlio, giovinotto di circa diecisette anni, ben portante, ma di faccia severa, colla pelle segnata da striscie, o a meglio dire tatuata, come per tutto il resto del corpo, a simiglianza del padre. Indossava una specie di mantello di tela bianca e portava alle reni una scimitarra elegante ed egregia per lavoro.

Avanzatisi padre e figlio, furono accolti dal sig. Stella alla nostra presenza.

Dopo gl’inchini di metodo, furono invitati a sedere sotto l’albero chiamato della Libertà, albero piantato da quasi tutte quelle tribù nel centro del paese, e sotto il quale hanno luogo le riunioni pubbliche, le conversazioni, e vi si tengono i consigli dei Capi e dei più ragguardevoli personaggi.

Io pure, preso posto vicino ad essi, mi affaticavo a tener dietro ai discorsi che si scambiavano tra quell’uomo e il padre Stella, nella speranza che alcune parole, prese a volo di tratto in tratto, potessero farmi comprendere, almeno sulle generali, di che parlassero.

Ma siccome tornava vana la mia fatica, così poco dopo pensai di appagare la mia curiosità e rivolsi la parola al padre Stella per conoscere ciò che quell’uomo era venuto a fare.

A dire il vero, la gentilezza del nostro Capo non mi mancò anche in quell’occasione e seppi che quell’uomo, il quale altra volta si era prestato a favorirlo ed aveva contribuito colla sua influenza a salvargli la vita, era venuto allora a chiedergli di potersi stabilire con noi, lui e la sua gente, pronto a contraccambiare