Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/115

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migliaia di frati che vivono alle spalle dei credenzoni e dei bigotti.

Dopo la partenza degli eremiti, ripresi i lavori con maggiore alacrità. Colombo aveva già portato il suo a compimento. La casa era stata terminata, delineato il giardino, rinnovata la cisterna, e per di più, condotta l’acqua a serpeggiare per le aiuole, mediante alcune opere di irrigazione.

E già nel suo orto erano state seminate varie specie di erbaggi: insalate verdi, fagiuoli, patate, peperoni, poponi e pomidoro. Una bella pianta di zucche, colle sue ampie foglie, salite fin sopra il tetto, gettava ormai la sua ombra benefica per ogni lato della capanna.

Quella pianta era sì grandemente sviluppata, da produrre delle frutta gigantesche. Mi sovviene che un giorno, un impetuoso vento da Nord-Ovest, scatenatosi sopra di noi, fece cadere una di quelle zucche, la quale ci somministrò cibo per quattro giorni. E sì che tra noi ed i famigli eravamo in buon numero. Quell’orto era veramente prodigioso; più si consumava e più riproduceva; avevamo in abbondanza d’ogni cosa necessaria.

Ciò che deploravamo, e per cui non trovavamo rimedio, era la scarsità di sale, che in seguito di tempo degenerò in assoluta mancanza.

Un altro giorno, Colombo, mentre lavorava in giardino, adocchiò una gazzella coi suoi due piccini a lato, i quali, penetrati nel recinto, cercavano acqua per dissetarsi. Nella foga di girar loro alle spalle e spingerli più addentro che potesse, egli, urtando qua e là le foglie, fece cotanto strepito che la gazzella ed uno dei piccini si diedero alla fuga, riuscendo felicemente fuori dello steccato.

L’altro figlioletto si diede a correre pel giardino,