Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/154

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quali valeva a misurare la durata del servizio di una persona.

Entro alla capanna, in qualità di infermiere, stava giorno e notte un pazientissimo ed instancabile napoletano, per nome Cicco, il quale era assai beneviso a Zucchi, ed esercitava sopra di lui una grande influenza, specialmente nell’acquetarlo, allorchè lo tormentavano gli assalti nervosi, i vaneggiamenti, i deliri che erano molto spessi e violenti.

Al 13 fummo obbligati a raddoppiare di cure e di vigilanza a motivo ch’erano giunti a Keren i soldati abissini per riscuotere il tributo di Stato. Certo Gheremetim, loro generale, venne più volte a visitarci nella gran tenda, e noi ne lo accogliemmo sempre cordialmente, ospitandolo con isquisita cortesia, e trattandolo a caffè, a dolci, e persino a cigarri.

Nel frattempo era arrivato anche Stella, la cui presenza era sempre una benedizione del cielo.

La malattia di Zucchi procedeva intanto di male in peggio. All’imbrunire del 13 eravamo già stati chiamati da lui, quasichè egli presentisse assai prossima la propria fine.

Entrammo e lo trovammo moribondo. Accanto al letto stavano la signora Elena e la figlia, le quali invano tentavano di rattenere le loro lagrime per non farsi scorgere da lui.

Appena entrati, c’ingiunse con fioca voce di avvicinarsegli al letto, e là dopo aver chiesto a tutti perdono se mai avesse mancato in qualche cosa, ci raccomandò la sua famiglia che era costretto a lasciare in balla di sè stessa ed esposta ai disagi ed alle avventure d’una impresa ormai fallita e pericolosissima.

Quella scena commoventissima ci strappò lagrime