Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/160

Da Wikisource.

quelle due donne, e per un’inconcepibile deferenza verso le medesime, non osava di alzar la voce a mia difesa.

Mancavami per tal modo il mio più valido appoggio; mancavami l’amico, il fratello, il padre, il compagno di tanti patimenti e di tante fatiche, nè sapeva chi ringraziarne.

L’unico concetto che poteva farmi della mia critica posizione e di quella eziandio del padre Stella e di molti altri compagni, si era sempre il medesimo: quello cioè che eravamo stati dallo Spagnuolo infamemente calunniati e traditi.

Pochi giorni dopo il nostro ritorno a Sciotel, e precisamente ai 20 di settembre, ci giunse la notizia che il generale Gheremetim erasi accampato con trecento uomini ad un’ora circa da noi, presso l’acqua Osch.

Prima di partire da Keren egli vi aveva lasciato colà trecento tra donne e fanciulli, ed i suoi soldati avevano intimato a tutti gli indigeni di Keren di non allontanarsi dal paese.

Egual ordine avevano ricevuto anche alcuni servi del padre Stella, cola rimasti a custodire il testo dei bagagli che non avevamo potuto trasportare.

Ciò era fatto collo scopo politico d’impedire ai medesimi di scendere tra noi ad accrescere le file dei forti, poichè così si degnavano chiamarci.

Ma un servo di Stella, armato di fucile, sotto pretesto di andarsene un po’ all’ingiro a cacciare, potè inosservato, sottrarsi alla sorveglianza dei soldati. Mediante una marcia forzata di ben sei ore, per sentieri scabrosissimi ed orrendi precipizi, giunse felicemente in mezzo a noi.

Questo servo, chiamato Din, era un ragazzo gracile,