Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/166

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Verso mezzo giorno, siccome la discussione tra il padre Stella e gl’inviati non era ancora terminata, ed il sonno mi tormentava, mi ritirai nella mia capanna, cadendo, quasi direi, sopra la branda: tanto sentivami stanco ed abbattuto.

Ma era destino che i miei sonni venissero sì di sovente turbati, imperciocchè non era forse passata un’ora dacchè mi aveva coricato, che un frastuono di voci e un forte mormorio vennero assai male a proposito a destarmi.

Balzai in piedi, strinsi in mano il fucile ed uscii all’aperto.

Colà, secondo il solito, tutto era confusione e terrore. Incontrai per primo il prussiano Ass, il quale, asserendo che eravamo stati traditi dai cinque ambasciatori, gridava all’armi; poscia vidi giungere i nostri, armati sino ai denti, e dietro ad essi gl’indigeni che andavano a schierarsi tutto all’ingiro della cinta, quasi fosse giunto l’istante di difenderla.

I rappresentanti di Gheremetim, non potendo comprendere il motivo di quelle manovre, sconcertati, pallidi come la morte, s’interrogavano l’un l’altro senza osar di parlarsi. Poco dopo, dirigendosi al padre Stella, gli dichiaravano sulla loro parola, che, se trattavasi di un allarme pel timore di essere stati da essi traditi, eravamo in errore, giacchè essi nuovamente ci assicuravano che il loro generale aveva realmente abbandonato le sue posizioni, ed a quell’ora doveva digià essere arrivato a Keren.

Poi vedendo che assumevamo verso di loro un contegno minaccioso, soggiungevano: «Noi siamo nelle vostre mani, voi potete anche ucciderci; ma dovete considerare che in questo caso la nostra ambasciata non