Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/179

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dovevano poscia internarsi per portar guerra al negus Teodoro; spedizione già nota, e della quale si occuparono i giornali più importanti d’Europa.

Alla sera dello stesso giorno arrivammo stanchi ed affamati a Maldi, paesello che il lettore ricorderà, siccome quello in cui si tolse di vita lo sfortunato Ravasano.

Pernottammo colà, come meglio ci fu possibile, ed al levare del nuovo sole, fummo nuovamente in gambe per superare una ripida altura che conduce al vortice d’un altissimo monte, da cui si domina, da un lato il lembo di quella immensa pianura che chiamasi il Samhar o Meden, e dall’altro il Mar Rosso.

Superata la cima, scendemmo, non senza altrettanto disagio quanto ne avevamo patito nell’ascesa, in un basso piano, ove dovemmo attraversare parecchie grotte e spelonche, nidi e ricovero di bestie feroci.

La notte ci colse per via, e con essa una pioggia dirotta che ci costrinse a far sosta prima del tempo, coprendo alla meglio noi, le bestie ed i bagagli, ma rimanendo in piedi, bagnati da capo a fondo ch’era una desolazione a vederci. Avremmo forse potuto ricoverarci in alcuno degli antri che avevamo poco prima visitati, ma non pensavamo punto a dividere il ricovero con quei feroci abitatori che avrebbero posto a contributo di sangue il favore fornitoci dell’ospitalità.

E ben ci eravamo apposti al vero, imperciocchè, essendosi uniti a noi due indigeni, giunti da Massaua con le loro vacche cariche di burro, e l’odore della selvaggina, essendo forse un po’ troppo piccante, richiamò fuori dalla propria tana un vecchio leone, dalla folta criniera, dagli occhi fiammeggianti e dalla terribile voce, che non ristette un solo istante in tutta la notte