Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/28

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sero le prime ore del mattino, ci trovammo alla base d’una poco estesa cava di marmo trasparente, percorrendo un tratto della quale osservammo che componevasi di scaglie di mica. Interrogai il sig. Stella se da una simile cava si avesse potuto trarre alcun vantaggio; ma egli mi rispose negativamente a motivo della grande distanza dai paesi abitati e per la difficoltà dei trasporti; sopratutto poi per non esser sì vasta da poter servire alla fortuna di alcun imprenditore.

Incontrammo poscia una carovana d’oltre cento camelli, proveniente da Cassala (Barka).

Per l’eccessivo calore mi si arrostivano le carni in guisa che il volto cominciava a spelarsi, e il bruciore che me ne derivava mi spingeva continuamente a graffiarmi, con qual risultato, ognuno può bene immaginarselo.

Alcune ore dopo sostammo, accampandoci sotto due alberi foltissimi, i cui rami intrecciandosi in modo meraviglioso, ci fornivano una fitta ombra, alla cui protezione attendemmo il colmo del sole e il suo declivio per poter all’imbrunire rimetterci in cammino. Lo spazio ombreggiato somigliava a quello d’una grande capanna rotonda; e quivi, spazzati alcuni cespugli forniti di grosse spine, stendemmo le nostre coperte e vi ci sdraiammo sopra. Io trassi la mia pipa, già fida compagna delle mie marcie nel Trentino, durante la campagna con Garibaldi, e che conservavo religiosamente come una cara memoria. Il mio pensiero ritornava ai dì che furono, senza affatto deplorare l’avvenuto loro trapasso, ma rallegrandomi meco stesso dell’attuale mia posizione d’avventuriero, e compiacendomi di trovarmi in quei deserti, libero come un uccello, sollevato dall’incubo delle convenienze aristocratiche, lungi dal frastuono delle