Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/52

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Appena varcata la foresta, che da ogni lato era foltissima, il malanno mi portò dinanzi agli occhi una gazzella, la cui comparsa mi fece dimenticar dei compagni e del pericolo nel quale sarei incorso scostandomi da quelli.

Mi avvicinai pian piano all’animale per poter giungere al tiro, mentre esso se ne stava pacificamente ritto, come se alcun pericolo non lo minacciasse.

Ad un tratto però si volse, resosi accorto forse del rumore prodotto da qualche mio movimento. Io m’arrestai immantinente, nè mossi palpebra; ero immobile come una statua, duro come una colonna. Trattenni persino il respiro onde ingannar maggiormente la mia preda; ed infatti la gazzella, rassicurata dalla mia immobilità, si moveva salterellando nella piena sicurezza di non essere inseguita.

Un vivo desiderio di prenderla s’era impossessato di me, tanto più che avrei bramato di far con essa una dolce sorpresa ed un grato presente ai miei compagni. Perciò mi raffermai nel proposito e mi diedi a seguitarla. Ma per quanto leggermente io camminassi, non mi venne fatto di occultarle il mio progetto; imperciocchè lo scaltro quadrupede, fermatosi di botto e coltomi in fallo, si diede precipitosamente alla fuga, traendosi, in un batter d’occhio, fuori del tiro del mio fucile e sparendo in breve anche dalla mia vista.

Allora subentrò in me il dispiacere di aver percorso inutilmente sì lungo tratto di via e d’essermi per sì futile motivo separato dai compagni. Rientrato in me stesso, e dopo avermi guardato all’intorno, mi diressi verso quel punto in cui supponeva di potermi ricongiungere ad essi.

Ma la fitta foresta che mi stava di fronte me lo