Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/56

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anche un atagan stambulino, che poteva essermi giovevole; per cui mi portai vicino a un tronco d’albero, rimpetto ad un immenso cespuglio, dal quale, supponevo, sarebbesi probabilmente affacciato il mio nemico. Era grondante di sudore, e per quanto sangue freddo cercassi di avere, pur nullameno i miei occhi erano spalancati, i capelli irti, il cuore mi batteva violentemente. Intanto le pedate si distinguevano sempre più: deciso a tutto, trassi l’atagan dalla guaina, e mi posi in guardia.

Poco dopo, udii, assai d’appresso, una voce umana, che chiamava: Ghoitana! Ghoitana! che in linguaggio tigrè equivale a Signore, Signore! Al secondo appello mi parve di riconoscer quella voce. In un baleno mi staccai dall’albero, e sollecitai il passo per raggiungere quell’uomo, giacchè la voce, per la subita emozione mi era mancata. Quando potei finalmente profferire una parola vi risposi col grido: Enzè, enzè, che significa qui, qui.

Immantinente si aperse il cespuglio, e mi vidi innanzi un indigeno della nostra carovana, armato di scudo e lancia, il quale, ansante e madido di sudore, ma colla letizia nel volto, mi si faceva incontro.

Mostrava quell’uomo le traccie della sofferta fatica. Anch’egli aveva errato lung’ora per incontrarmi; anch’egli aveva sofferto al pari di me il dubbio e la paura: anch’egli dunque rallegravasi fuor di modo per avermi ritrovato. Fu in vero un quadro commovente! Fuori di me, stava già per abbracciarlo; ma egli s’era volto rapidamente e mi mostrava, a cenni, che conveniva affrettarsi.

Si diemmo a correre, benchè non ne avessimo gran voglia, ma per poter uscire al più presto possibile da quel labirinto pericoloso.