Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/62

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L’ora essendo tarda, scaricammo i camelli ed aprimmo le brande. Preparammo un po’ di cibo, mentre gli Indigeni ci stavano d’intorno ad appagare la loro curiosità, ammirando con cupidigia le nostre armi.

La maggior parte degli abitatori di quelle capanne era ancora al di fuori a pascolare camelli e vacche, il cui latte costituisce la base dei loro cibi. Mentre bolliva la pentola, i nostri si occupavano di qualche altro affare: chi attizzava il fuoco, chi rappezzava le vesti, chi puliva le armi, chi famava tranquillamente la sua pipa, chi infine leggeva un trattato di economia politica.

Sopraggiunsero gl’Indigeni, ed allora il recinto brulicò d’uomini e di bestie. N’ebbimo latte in gran copia, e ne bevemmo a sazietà; e poiché il pranzo fu servito ed asciolvemmo, nostra cura fu quella di metterci a dormire, stendendoci sulle nostre brande. Invano il sonno tentava scendere a ristorarmi; ero in una continua diffidenza, e non facevo che girarmi ora sur un fianco ora sull’altro. Finalmente mi decisi ad alzarmi; mi avvicinai al braciere, accesi la pipa e mi sedetti sulla sella del mio boriko, dandomi a pulire il fucile, di cui caricai ambo le canne a palla.

I miei compagni russavano ch’era una meraviglia; mentre io d’altra parte mi lasciavo andare alle più strane conghietture. Quand’ecco un insolito frastuono viene a rompere la quiete che regnava. M’alzo da sedere e mi metto in osservazione.

In un istante quasi tutta la borgata era in piedi. Gli indigeni impugnando lancie e scimitarre ed aggiustandosi i loro manti, correvano in frotte verso un punto del recinto che reclamava la loro difesa. Da tutti i lati le donne spaventate, tenendo in braccio i loro bambini,