Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/65

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lasciati accecare dallo splendore della tomba del Profeta. Nè poteva trattenermi dal ridere di cuore, pel modo con cui si accomiatarono dopo avermi ricondotto al riposo.

Il recinto in cui eravamo ricoverati, apparteneva al capoluogo della tribù dei Beniahmer-Zaghà, distante circa quattr’ore da noi, retto e comandato da un triumvirato di fratelli. Il primo di costoro, nominato Deghlel, tiene trecento dei suoi più valorosi, armati di lancia e scimitarra, difesi da scudi e da vesti di ferro.

Sotto il comando d’uno dei fratelli, conoscente del sig. Stella, codesti indigeni conducono vita nomade, e girano con le proprie famiglie, tenendo seco le mandre, soggiornando ora in un pascolo ora in un altro, e mutando cielo a tenor del bisogno o dell’opportunità.

Venne il mattino, e con tutto nostro comodo ci apparecchiammo alla partenza. Non saprei descrivere l’entusiasmo degl’indigeni, e le dimostrazioni di amicizia e di gratitudine che ci diedero, pel fatto della notte.

Quando fummo pronti alla marcia, venimmo circondati da parecchi che suonavano delle trombe di legno, da altri che ci prendevano le mani recandosele alla fronte, e facendo mille strani gesti in segno di saluto. Noi, a rincontro, sparammo alcuni colpi di fucile in loro onore, del che rimasero soddisfattissimi. Li ebbimo per seguito durante un buon tratto di cammino, sempre colle medesime dimostrazioni, ed in mezzo a grida, canti ed inni guerreschi.

Finalmente ci lasciarono, due ore prima del mezzogiorno, augurandoci buona fortuna, quindi ritornando tutti alla propria dimora.

Alle tre pomeridiane del 13 eravamo presso Zaghà. Poche ore dopo, continuando la marcia senza eventua-