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la sua assenza da Keren ed egli le porse con garbo e con semplicità.

La sera si inoltrava e già le tenebre, nulla permettevano di rilevare all’intorno, allorchè ci comparvero, quasi inosservati, quattro indigeni con dei piatti giganteschi contenenti una specie di polenta male impastata con dura 1 e latte, avente un sapore acre, e dei pani somiglianti alle nostre focaccie. Questa refezione eraci stata mandata dal capo Deghlel, e noi ne prendemmo una piccola porzione, lasciando il rimanente ai nostri servi.

Mangiammo quindi delle lenti e dopo avere asciolto, ritirammo nell’interno le brande ed, ivi sdraiati, continuammo a conversare per alcune ore, quindi dormimmo.

La mattina seguente ci alzammo per tempo e ci diemmo a pulire e raccomodare i nostri effetti. Ricevemmo in regalo due montoni che ci servirono di pasto per tutti i tre giorni in cui ci soffermammo. Nello stesso giorno alcuni indigeni vennero ad offrirci la pelle d’un leone ucciso nella sera precedente, della quale chiedevano un tallero; ma il sig. Stella la rifiutò perchè forata da un colpo di lancia.

Passavamo quei giorni girando il paese o cacciando, talvolta assistendo alle conversazioni del sig. Stella col capo Deghlel, tal’altra alla lettura che ci teneva lo Spagnuolo. Assai spesso mi allontanava dal recinto, curioso di rilevare in qual modo si usasse colà vivere e lavorare.

M’incontrava sovente qualche bella donna dai

  1. Dura, (surgum vulgare) una specie di saggina che tien luogo del nostro frumento. Se ne fa la grossolana focaccia che è il pane quotidiano della famiglia.