Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/79

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ad osservare; ma non ardivano però di assalirci. Potevamo far fuoco, ma troppo ci premeva di procedere in silenzio per non dare indizio ad alcuno del nostro passaggio.

Era di poco inoltrata la notte, allorchè scorgemmo a qualche distanza una delle solite cinte di nomadi. Questi, udendo il calpestio della carovana che avanzavasi, venuti in sospetto di qualche assalto, fecero uscire in fretta le loro mandre sotto la scorta delle donne e dei fanciulli, che si diressero ad una prossima collina; quindi si posero in difesa colle lancie in resta, urlando diabolicamente.

Non ostante quell’apparato, noi ci avanzavamo sempre più; ma allorchè vedemmo che si disponevano all’offesa, puntammo i fucili, traendoci dietro agli alberi per poter ferire al sicuro. Eravamo sul punto di scaricare, quando il sig. Stella ci trattenne, parendogli che quella dovesse essere una tribù amica dei Bogos; anzi diede ordine ad uno dei nostri Indigeni di gridare con quanto fiato avesse chi fossimo, e da chi eravamo condotti.

Al nome di Stella, le minaccie disparvero, grida di gioia uscirono da tutti quei petti; centinaia di lame luccicanti fendevano l’aria, centinaia di lancie descrivevano il consueto circolo intorno alle mani, e molte voci esclamavano: Enser-naa, enser:... dahan, dahan, che in favella etiopica suona: Venite, venite:... buono, buono!

Deposto ogni pensiero di ostilità, ma però sempre colla massima cautela, ci accostammo alla cinta e rilevammo infatti che erano amici, e conoscevano il signor Stella. Fecero tosto ritornare le donne coi fanciulli, che unirono le loro esclamazioni a quelle degli uomini. Siccome non avremmo trovato troppo comodo l’ambiente