Pagina:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu/100

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Si avvicinava a gran passi il Natale, e tutti i conoscenti del signor Angelo avevano fatto a gara chi a mandargli una coppia di piccioni, chi una bella pollastra da farsi lessa, altri un paio di capponi, e ci fu anche chi mandò più d’uno smilzo gallettino dalla cresta prepotente.

Sarebbero stati di gran bei giorni quelli, se la paura della morte non avesse angustiato il cuore dei miei sventurati compagni. Poveretti! Strappati a viva forza dalle loro famiglie e gettati là a caso presso persone sconosciute, erano proprio degni di compassione.

Uno specialmente, un capponcello giovanino a cui il signor Alberto avea posto nome Cocò, mi commoveva non poco per il suo aspetto triste e pensieroso.

Si vedeva subito che quel poveretto doveva aver sofferto molto. Nè m’ingannavo.

Poi c’era un galletto, il quale aveva sempre il capo al chiasso; buon figliuolo, però, veh! Con le sue barzellette, e ne trovava ogni momento delle nuove, ci teneva allegri tutti, e spess’e volentieri, poteva vantarsi di far sorridere anche il malinconico Cocò.

Di morire non ne parlava mai, e se qualcuno lo costringeva a metter fuori il suo parere su tal proposito, rispondeva ridendo:

— Morire presto o tardi bisogna; gli è un debituccio che in tutti i modi dobbiamo pagare, e non siamo soli, sapete? Chè anche gli uomini, con tutta la loro superbia, ci hanno a stridere anche loro. Anzi noi, siamo giusti, non si patisce mica dimolto! Una tiratina di collo e via. Mentre gli uomini, poveracci, sono condotti alla morte da certe malattie il più