Pagina:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu/107

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Io svenni.

Il cappone tacque come sopraffatto da quelle memorie dolorose.

Nessuno s’arrischiava a dirgli nulla, temendo d’inasprir maggiormente quell’anima sventurata.

Ma il gallettino brioso, che sarebbe piuttosto morto anzichè starsene zitto, si avvicinò con aria amichevole a Cocò, e già apriva il becco per porgergli Dio sa che razza di condoglianze, allorchè alcuni passi risuonarono sulla ghiaia del giardino. I padroni non erano di certo, chè, a quell’ora se ne stavano conversando allegramente accanto al fuoco; i servitori neppure, poichè stavano preparando il pranzo; o dunque?

Ci stringemmo impauriti l’uno accanto all’altro, ascoltando con ansietà i passi de’ notturni visitatori, che sempre più si approssimavano. A un tratto alcune ruvide mani aprirono violentemente il pollaio, e io stava già per urlare con quanto fiato avevo in gola, allorchè un chiarore vivissimo come di fiamma ci percosse la vista, riempiendoci d’altissima meraviglia.

Le medesime mani profittarono di quel momento, e agguantati cinque prigionieri, con sorprendente destrezza sparirono di nuovo nell’oscurità del giardino. Lettori e lettrici, sospendete un pochino la lettura, tirate fuori la pezzolina da naso e mettetevi a piangere.

I notturni visitatori eran ladri.

Il chiarore che ci aveva abbagliati lo avevano acceso apposta per farci stare zitti.... e fra que’ prigionieri rubati c’era anche Cocò e.... l’amico vostro.