Pagina:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu/71

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dino pregò gentilmente il rustico amico che gli facesse compagnia infino alla città, e ciò fece molto volentieri.

«E giunti alla città menollo in una dispensa dov’era usato di stare alcuna volta, e postogli innanzi carne, farina e altre vivande, pregavalo acciocchè di quelle cose prendesse sicuramente.

«E mentre stavano allegramente mangiando, il padron di casa incominciò ad aprir l’uscio; e al rumor che facea la chiave nella serratura, il topo cittadino, temendo la morte, e poco curandosi dell’infelice invitato, fuggì con maravigliosa rapidità.

«Allora il topo campagnolo, vedendosi abbandonato, rifugiossi in un cantuccio, e dalla solenne paura ch’egli ebbe, gli s’imbiancaron le basette e si buscò una bella febbre.

«E poi che il padrone della dispensa fu partito, il topo della città uscì fuori, e vedendosi scampato, chiamò il compagno con grande allegrezza; e confortavalo e rassicuravalo con queste parole:

«— Il pericolo è sparito; fa’ cuore, caro fratellino, e assaggia questo intingolo di frutta e miele. —

«Ma il topo dei campi rispose:

«— In questa dolcezza si nasconde un veleno amaro: per me preferisco mangiar le mie fave secche in santa pace, anzichè le tue ghiotte vivande col tremito della paura; tu che ci sei avvezzo e a cui non dà noia il turbamento della mente, rallegrati di codeste ricchezze: in quanto a me torno lieto a’ miei campi, risoluto di mai più abbandonarli. —»

Che te ne pare, caro figliuolo, di questa novelletta?

— Dico, mamma mia, — risposi allora, che il po-