Pagina:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu/72

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vero topo di campagna aveva forse ragione, ma non a tutti quelli che miglioreranno la loro condizione avverrà lo stesso.

— Dio lo voglia, figliuol mio, e possa tu non mai rimpiangere la nostra umile ma riposata e tranquilla vita! —

Così ebbe fine il nostro colloquio.

Giunse finalmente il punto della partenza; ma in quel momento, allorchè vidi le lagrime angosciose della madre mia, il viso pallido e dolente della cara Marietta, i campi e la casa, dorati dalla luce del sole in sul tramonto, allorchè udii il disperato pigolare de’ miei fratellini, l’abbaiare del vecchio cane da pagliaio e il canto lieto degli uccelletti che s’apparecchiavano al riposo, provai uno sgomento, una smania e una voglia così intensa di piangere, che mi ci volle del buono e del bello per non farmi scorgere da’ miei nuovi padroni.

Scambiai un ultimo bacio con la mamma, una carezza con la Marietta, e guidato da Albertino mi diressi verso il cancello del podere, dove stava ferma, da un pezzetto, una bella carrozza a due cavalli.

Il signor Angelo e la signora Clotilde, dopo aver salutato affettuosamente i buoni contadini, vi salirono; Alberto fece lo stesso, ed io, rimasto in terra, aspettavo d’esser preso, allorchè tutto affannato, sbucò da una viottola Giampaolo con una gran gabbia in mano, che avea servito altre volte per la cova dei piccioni.

— Sor padroncino, eccole la gabbia che mi aveva chiesta, — disse costui sorridendo; e chinatosi fino a me, mi prese e mi ci chiuse, e imprigionato a quel