molti intrighi, e con poco esercito, pochi danari,
poco favore. Scese a Ravenna: ma rinchiusovisi, seguí una guerra
sminuzzata; finché Totila vittorioso pose finalmente assedio a Roma, e
la prese in faccia a Belisario accorso ad aiuto [dicembre 546]; e
allora, inasprita oramai la guerra contro alle popolazioni italiane,
saccheggiò, disertò la cittá, n’atterrò le mura e lasciolla. Fu
rioccupata da Belisario, riassalita da Totila; combattevvisi intorno
tre dí, e fu vinto Totila; ma con poco frutto: ché dopo poco di guerra
spicciolata fu in breve, per nuovi intrighi di corte, richiamato
Belisario, il quale avea cosí guastata la gloria di sua prima impresa
d’Italia. Allora (tra una nuova invasione di franchi ed una prima e
breve di longobardi) Totila riprese Roma e restaurolla, passò in
Sicilia e presela pur quasi tutta. — Finalmente, dopo parecchi altri
capitani greci tutti cattivi, venne uno che pareva dover essere il
pessimo: Narsete, un eunuco del gineceo imperiale, vecchio di presso a
ottant’anni, e che nella prima guerra di Belisario era stato sotto lui
uno dei duchi piú indisciplinati. E tuttavia, costui vinse e finí la
lunga guerra. Forte in corte, e cosí ben proveduto di danari e di
uomini (fra cui un duemila longobardi), venne [552] per l’Illirio e la
Venezia a Ravenna: e quindi uscito in breve, marciò contro a Totila
che s’avanzava da mezzodí. Incontraronsi presso a Gubbio; e fu una
gran rotta di goti: Totila che avea combattuto de’ primi e degli
ultimi, da re, morí ferito nella fuga. — Fu in Pavia gridato a degno
successore di lui Teia, uno de’ capitani principali. Il quale in pochi
mesi raccogliendo le forze restanti a’ suoi nazionali, scese giú per
la penisola contro a Narsete, che dopo aver ripresa Roma (quinto
eccidio di essa in quella guerra), assediava ora il castello di Cuma,
ov’eran serbate le insegne regie e il tesoro de’ goti. Combattessi una
seconda gran battaglia alle falde del Vesuvio; e vi pugnò Teia come
Totila nella prima: piú felice di lui, morendo sul campo, e, dicesi,
dopo aver cambiati parecchi scudi, carichi, l’un dopo l’altro, di aste
nemiche. Allora si arresero tutti i goti lá restanti [553]; e chi li
dice poi cacciati fuor d’Italia, chi sparsi in essa. Certo, molti
rimaneano ancora. Forse essi furono che