lá, e rifiutata da ciascuno per non mettersi in nostre
divisioni, nostri odii, nostre invidiuzze, direi quasi nostri
pettegolezzi. Intanto Ariberto, arcivescovo potentissimo di Milano,
tronca i dubbi, e va a Germania a far omaggio a Corrado ed incoronarlo
[1025]. Scende questi poco appresso [1026], e con grand’oste muove
contro a Pavia; ma trovatala forte, va a farsi incoronar a Monza, e
poi prende cittá e castella, e viene a Ravenna, dove nasce nuova
baruffa tra tedeschi e cittadini, torna a Milano, passa l’inverno in
Ivrea. L’anno appresso [1027] passa per Toscana e si fa incoronare
imperatore in Roma da papa Giovanni XIX; ed ivi terza baruffa tra
romani e tedeschi. Tutto inutile. Scende a Benevento e Capua, e vi si
fa riconoscere all’intorno, risale a Roma, a Ravenna, a Verona, a
Germania, lasciando tranquilli i pavesi, a patto che riedifichino il
palazzo. Resta Ariberto con quella potenza di vicario imperiale, che
incominciavano a dar gl’imperatori a’ lor aderenti principali qua e
lá. Era naturale; gl’imperatori non potendo far valer essi da lungi
lor autoritá indeterminata, sconosciuta, la trasmettevano qual era,
per valer ciò che potesse, a qualche grande che paresse poterlo da
vicino. Nel 1032, egli Ariberto e Bonifazio, marchese di Toscana,
guidano un esercito d’italiani in aiuto a Corrado che prese il regno
di Borgogna finito allora in Rodolfo. Nel 1035, scoppia tra
l’arcivescovo e i suoi valvassori di Milano una guerra grave, e molto
notevole a far intendere le condizioni di quella societá feodale cosí
diversa dalla nostra. Perciocché sembra ne sorgessero allora piú o
meno delle simili in Italia, ed anche fuori, tra i vassalli grandi, o,
come si diceano, «capitani seniori», o signori, e i valvassori piccoli
o «iuniori». Era finito il secol d’oro di quelli, incominciava di
questi; era un principio di quell’emancipazione delle classi inferiori
dalle superiori che dura d’allora in poi. Combattessi in Milano, i
piccoli valvassori n’usciron vinti: ma si fecer forti de’ lor pari
alla campagna; e tutti insieme alzarono una lega, un tumulto, che
chiamossi «la Motta» (e voleva probabilmente dire «ammottinamento»), e
andò allargandosi via via. Scende allora [fine 1036] Corrado a
giudicar e compor questi nuovi turbamenti; e favorisce la Motta contra
l’arcivescovo,