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198 libro sesto

alleata di Milano, nemica di Pavia; intimolle di mutar alleanze, fu rifiutato, assediolla due mesi, incrudelí contro ai prigioni, guastò i fonti agli assediati, e prese la cittá [15 aprile], la saccheggiò ed arse. — Quindi fattosi incoronar re a Pavia, s’avviò per farsi incoronare imperatore a Roma. Dove, morto giá Eugenio III [1153] ed Anastasio IV [1154], pontificava Adriano IV, ma poteva il nuovo senato; e sott’esso quell’Arnaldo da Brescia, il condannato d’eresia, predicante per il senato contro al papa. E papa e senato aspettavano ora la decisione dell’imperatore; scusabili dunque tutti e due, se si voglia, sulle condizioni de’ tempi; tutti e due condannabili, se si attenda a quel dovere di tutti i tempi, di non dividersi in presenza allo straniero; quel dovere che ben fu, a distanza di otto secoli, saputo adempiere da un Lanzone a Milano, da un Mastai a Spoleto. Quanto poi al far, come taluni, sempre colpevoli i papi, sempre scusabili od anche eroi di libertá, o, piú, d’indipendenza, i loro avversari; ella mi pare di quelle nequizie che non possono se non isviar del tutto la storia, e, che è peggio, la politica pratica della nazione. Ad ogni modo, Arnaldo era allora giá piú o meno abbandonato dal senato, e trovavasi rifuggito in un castello vicino d’un partigiano suo. Giunto lá presso, Federigo prese costui, e fecegli dar Arnaldo nelle mani del prefetto imperiale di Roma, che il fece ardere in piazza del Popolo. Compiangiamo il supplizio religioso o politico; ma non piú. Quindi avanzossi Federigo, ed incontrato dal papa gli tenne la staffa; incontrato da una deputazione del senato, che orò quasi senato antico ed elettor d’imperatori, passò oltre, ridendone egli e i suoi tedeschi, come succede degli scaduti che si credono grandi tuttavia. Quindi fu incoronato [1155] in Vaticano senza entrare in Roma, combatté colle milizie di Roma sollevateglisi contro, si ritrasse a Tivoli, mosse contra Spoleto che avea lesi parecchi diritti d’imperio, e l’arse. Poi, negletto il Regno, dove al primo e gran re Ruggeri era succeduto suo figliuolo Guglielmo detto «il cattivo» [1153], licenziò in Ancona il suo esercito feodale, e sfuggendo le insidie de’ veronesi, per il Tirolo risalí a Germania. Avea prese le due