crebbe e ruppe
fiorentini a Montecatini [1315]; ma fu finalmente cacciato [1316]; e
fu fatta [1317] una pace in Toscana per intervenzione ed a profitto
de’ guelfi e di re Roberto. Poco appresso s’innalzò un nuovo capo
ghibellino, Castruccio Castracane, fattosi signor di Lucca [1320] e di
Pistoia [1325]. Tentò Pisa piú volte, ma invano; guerreggiò Firenze,
vinsela in battaglia [1325]; e Firenze diede la signoria al duca di
Calabria, figlio di re Roberto [1326], per dieci anni. Pisa intanto
decadeva; Aragona toglievale la Sardegna [1323]. — In Lombardia si
moltiplicarono le guerre di cittá a cittá, il sorgervi, cadervi,
risorgere, estendersi e rimutarsi signori o tirannucci cosí, che ci è
impossibile oramai lo stesso accennarne. Basti il notare, che contro
all’intento giá del buon Arrigo VII ne riuscirono confermati,
aggranditi i signori vecchi, stabiliti de’ nuovi; principali gli
Scaligeri in Verona, i Carraresi in Padova, gli Estensi in Ferrara. Ma
sopra tutte confermavasi, crescea la potenza di Matteo Visconti in
Milano, ed estendevasi in breve a Cremona, Tortona ed Alessandria,
anzi sulla stessa Pavia l’emula antica, or fatta provinciale di
Milano. Appena è da notare ch’ei fu scomunicato da papa Giovanni XXII,
succeduto a Clemente V [1316], e papa francese anche egli, dimorante
in Francia, e cosí impotentissimo in Italia. Queste scomuniche
moltiplicate e non piú sostenute dall’armi né dalla presenza dei papi,
non eran piú nulla; nulla in Italia i papi stessi; soli capi di parte
guelfa gli Angioini di Napoli, ambiziosi sí, ma mediocri, e lontani da
Lombardia, dove fervean le parti. Mosse tuttavia re Roberto a difender
Genova quando ella fu assalita da Matteo Visconti e da’ ghibellini,
lombardi e fuorusciti di lei [1318]. Veniva un nuovo principe
francese, Filippo di Valois, a capo de’ guelfi lombardi, ma Matteo
Visconti lo sforzò a partire [1320]; veniva Cardona, un venturiero
aragonese, e il Visconti vinceva lui [1321], e tutti i guelfi, e tutti
i nemici di sua casa, che lasciò definitamente fondata quando morí
[1322]. Fu detto il «gran Matteo»; ma siffatti epiteti son sempre
relativi al secolo in che si dánno; e in questo non furono veri grandi
se non i padri di nostra lingua, od anzi solo Dante; in politica e
guerra di