vittorie. Subito passò il Po a Piacenza [7 maggio], concedé una
tregua con multa al duca di Parma [9], combatté e passò l’Adda a Lodi
[9]; entrò in Milano [15] trionfante ed applaudito da’ repubblicani,
o, come li chiama Botta, gli «utopisti» italiani, esecrato dal grosso
delle popolazioni che si sollevarono qua e lá. Trattenutone pochi dí,
riavanzò, passò l’Oglio, entrò nel territorio della moribonda Venezia,
che per la terza o quarta volta deliberò non tra pace o guerra, ma
tra neutralitá armata o disarmata, e s’appigliò a questa. E vincendo
poi a Borghetto [28 maggio], entrò in quel campo di guerra tra Mincio
ed Adige, dove egli, il giovane ed arditissimo de’ capitani antichi
o moderni, vi si fece quasi un Fabio indugiatore, vi si fermò, vi si
piantò, vi aspettò quattro eserciti nemici, contentandosi di vincerli
in una guerra difensiva e lunga di otto mesi intieri, dove poi quella
devota vittima di Carlo Alberto non fu rimasto un mese senza che i
capitani di bottega, di setta, di piazza, od anche di piú autorevoli
assemblee, lo spingessero ad uscire, ad avanzare, a correr paese, a dar
la mano a chiunque si sollevasse, a guarnir l’Alpi, ad estendersi, a
perdersi, a perder la piú bella occasione che sia stata mai all’Italia.
Ed a piú dolore e piú vergogna si ritenga, che il gran capitano
francese aveva, lasciategli da’ veneziani, Peschiera, Legnago e Verona,
mentre l’infelice italiano aveva contro sé queste tre fortezze,
l’ultima delle quali accresciuta a tal segno da annullare in paragone
l’importanza di Mantova stessa, e da essere il baluardo, la piazza
d’armi, il palladio della potenza austriaca in Italia. Cosí dismessa
ogni altra impresa, ogni altra idea, ogni altro pensiero, avesse egli
assalito Verona seriamente, lentamente, destinandovi i mesi, gli anni,
qualunque tempo! Ma, sinceramente, era egli possibile ciò? Forse sí;
ma se mai, co’ due modi napoleonici: primo, lasciar dire, e ridur la
guerra a quell’impresa; secondo, minacciar di far fronte addietro,
contro ai perturbatori della patria. Ma non erano né dovevano essere
modi nostri. Vi pensi, sí, per un’altra volta, l’Italia. I campi di
guerra dati dalla natura non si mutano per andar de’ secoli; l’arte,
rinforzandoli, li fa anzi piú importanti. E da Mario e i cimbri,
o forse prima, fino