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fossero state mature all’indipendenza, allora si sarebbe veduto, allora sarebber sorte sottentrando al vinto Piemonte: ma fu tutto all’opposto; d’allora in poi non sorse, non accorse un battaglione da quelle due Italie imbelli e distratte. I settari reduci dall’esilio, avevano giá nel primo periodo empite e corse le cittá d’Italia, Milano, Genova, Livorno, Roma, e Napoli principalmente; ma, fosse invidia o vergogna dell’impresa iniziata da altri, v’avean presa poca parte, ed erano i piú rimasti nell’ozio o nell’ombra: sbucarono sí allora da ogni parte, si mostrarono ne’ circoli e sulle piazze, penetrarono ne’ parlamenti e ne’ ministeri, abbatteronvi governi esistenti, ne crearono dei provvisori e vi promossero la licenza sotto nome di «libertá democratica», la unitá sotto quello di «Costituenti italiane». Cacciati di Milano dalla conquista austriaca, di Venezia dalla prudenza di Manin, di Napoli dalla controrivoluzione, s’ingrossarono tanto piú in Roma, Firenze, Livorno, Genova e Torino, vagando, come fu detto allora, quasi compagnie comiche dall’una all’altra di quelle scene aperte a lor fortune, sventura d’Italia. Alcuni uomini, nuovi o non logori dalla calunnia e dai tradimenti del primo periodo, tentarono resistere, ma invano. E non avendo noi luogo a distinguere i loro meriti, vogliamo almeno siano eccettuati da quel biasimo, del resto universale, che la severa e sola utile storia non può qui se non versare sull’Italia intiera, che sará confermato da’ posteri, se saranno migliori di noi. Se ne persuada una volta la misera Italia: ella fu perduta da’ suoi adulatori, dagli accarezzatori de’ suoi vizi e delle sue passioni, dagli scusatori delle colpe sue: finché ella dará retta a costoro ed ai successori di costoro, storici, politici, oratori di ogni sorta, ella non può riconoscere i suoi vizi; e finché ella non li abbia riconosciuti, ella non è nemmen sulla via di correggerli; e finché ella non li abbia corretti, ella vizierá, ella perderá tutte le occasioni, tutte le imprese, come ella viziò e perdette quella magnifica ed insperata del ’48.

In Torino il ministero Casati, entrato il 27 luglio, si dimise subito dopo l’armistizio, addí 13 agosto; sottentrò uno presieduto dapprima da Alfieri, poco appresso da Perrone. Tardi, ma