Machiavello. Fu in
gioventù tutto uomo di pratica, colto, non letterato. A’ ventinove
anni [1498?] ebbe carico di secondo segretario della repubblica
fiorentina ricostituita; e tennelo sotto il Soderini gonfaloniere fino
al ritorno de’ Medici, quattordici e piú anni in tutto; andando nel
frattempo a ventitré legazioni, al re di Francia, all’imperatore, al
papa, al duca Valentino, e ad altri di que’ perversissimi politici.
I dispacci (belli, brevi, semplicissimi del resto) che rimangon di
lui lo mostrano poco diverso da coloro; non è meraviglia, né grande
scandalo. Venuti i Medici, e cacciato esso dall’ufficio, accusato di
congiura, imprigionato, collato, e liberato per protezione di Leon X,
non sentí, o almeno non mostrò l’ira di Dante contro a’ persecutori,
diventò mediceo, pallesco; ed è pur caso volgare. Desiderò rientrar in
uffizio, servire il nemico del governo che aveva servito, il principato
dopo la repubblica; volgarissimo. Ma negletto, fece uno scritto, un
memoriale politico, che dedicò ai Medici e non pubblicò; e il libro è
quello del Principe che ognuno sa, e dov’è accennato sí un grande
scopo colle famose parole di Giulio II, «liberar l’Italia da’ barbari»;
ma dove i mezzi son quelli de’ principi, de’ popoli, della politica
d’allora, astuzie, perfidie, violenze, vendette, crudeltà; e qui la
colpa diventa grave, immensa, e nella perversità e negli effetti;
nella perversità, la quale è sempre le mille volte maggiore in chi
scrive che in chi opera perversamente, perché non ha le scuse, gli
allettamenti della pratica; negli effetti, perché a pochi uomini,
grazie al cielo, è dato far mali durevoli nella pratica rinnovantesi da
sé, mentre durano generazioni e generazioni i mali fatti con un libro
immorale. Gran semplicità parmi poi quella disputa letteraria fatta
e rifatta: qual fosse l’intenzione dell’autore? Chiare dalle parole
di lui mi paion due: una personale e bassa, ingraziarsi co’ principi
distruttori della repubblica da lui servita; l’altra pubblica ed alta,
l’indipendenza; ma peggio che mai avvilita la prima, deturpata la
seconda dagli scellerati mezzi proposti. Perciocché allora, come prima,
come poi, come sempre, come ultimamente, l’indipendenza non poté,
non può, non potrà mai procacciarsi con questi mezzi; anzi nemmeno
con quelle