Pagina:Balbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu/78

Da Wikisource.
74 libro settimo

veggo tre errori importanti a notare, siccome quelli d’uno scrittore il quale è forse piú di nessun altro nelle mani de’ nostri compatrioti; tre errori dico, uno storico, uno politico, ed uno filosofico o morale. — Errore storico o di fatto parmi il dire, che fossero egualmente o similmente infelici i popoli della monarchia di Savoia e quelli delle province spagnuole. Certo le sollevazioni popolari cosí frequenti, cosí grosse, cosí centrali de’ due regni spagnuoli, non furono nella monarchia di Savoia. Qui non s’ebbero, se non quelle molto minori, parziali, e per cause speciali, de’ valdesi e di Mondoví. E qui, all’incontro, fu fatta una sollevazione, tutta lealtá ed amore, da’ torinesi contra a’ francesi, un dí del 1611, che si sparse la voce, aver questi morto il duca Carlo Emmanuele I; il quale fu pure il principe di Savoia che abbia mai stancato di piú guerre e piú tasse i popoli suoi. Ancora, quell’altro Carlo Emmanuele II che morí in mezzo al popolo suo introdotto in palazzo (di che non so forse una piú bella scena in nessuna monarchia), quel Carlo Emmanuele II, egli pure avea stanco di guerra nella prima metá del regno suo e stanco di edificazioni nella seconda metá i popoli suoi. Come tuttociò? Come tant’amore reciproco? Certo, o bisogna dire che i piemontesi d’allora fossero il piú vil popolo del mondo ad amar cosí i loro oppressori (il che è dimostrato falso dalla loro perseveranza ed alacritá militari, che son qualitá incompatibili coll’avvilimento de’ popoli); o bisogna dire che fosse pure alcun che, che unisse que’ principi e que’ popoli piemontesi sinceramente, strettamente, appassionatamente tra sé, a malgrado le gravezze. Né è poi difficile a scoprire quell’alcun che. Appunto, perché non vili originariamente, e non corrotti dalla invecchiata civiltá e dalle scellerate politiche del resto d’Italia, ma anzi nuovi, ma virtuosamente rozzi e quasi antichi erano que’ piemontesi, perciò virtuosamente, alacremente soffrivano le inevitabili gravezze recate dagli stranieri, e pesanti sui principi loro non meno che su essi; e soffrendole insieme, si compativano, si stringevano, si amavano; ed insieme con amore operando, erano meno infelici nelle sventure, felicissimi ne’ ritorni di fortuna. E poi, qual paragone fare tra le gravezze,