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tanto alto maritarmi le poche facultà dei miei non ricercavano. Ma per nobiltà e antiquità di sangue si sa quello che sono i Lionati, come quelli che sono i più antichi e nobili di tutta questa isola, essendo noi discesi da nobilissima famiglia romana prima che il signor nostro Giesu Cristo incarnasse, come per antichissime scritture si fa fede. Ora, sì come per le poche ricchezze dico che io non era degna di tanto cavaliere, dico altresì che indegnissimamente sono rifiutata, conciò sia cosa chiarissima che io mai non ho pensato di dar di me ad altrui quello che il diritto vuole che al marito sia serbato. Sallo Iddio che io dico il vero, il cui santo nome sempre sia lodato e riverito. E chi sa se la maestà divina con questo mezzo mi voglia salvare? Chè forse essendo tant’alto maritata, mi sarei levata in superbia e divenuta altiera con sprezzar questo e quella, e forse meno averei conosciuto la bontà di Dio verso me. Or faccia Iddio di me quello che più gli aggrada, e mi doni che questo mio travaglio ceda a salvezza de l’anima mia. Poi con tutto il core lo prego divotissimamente che al signor Timbreo apra gli occhi, non perchè mi ritoglia per sposa, chè a poco a poco morir mi sento, ma a ciò che egli, a cui la mia fede è stata di poco prezzo, insieme con tutto il mondo conosca che io mai non commisi quella follia e sì vituperoso errore, di cui contra ogni ragione sono incolpata, a ciò che, se con questa infamia moro, in qualche tempo discolpata resti. Godasi egli altra donna a cui Iddio l’ha destinato e lungamente seco viva in pace. A me di qui a poche ore quattro braccia di terra basteranno. Mio padre e mia madre e tutti i nostri amici e parenti in tanta pena abbino almeno questo poco di consolazione, che de l’infamia che mi è apposta io sono innocentissima e piglino per testimonio la mia fede, la quale io do loro, come ubidiente figliuola deve dare, chè maggior pegno nè testimonio al mondo non posso io al presente dare. E mi basti che innanzi al giusto tribunale di Cristo conosciuta sia di tale infamia innocente. E così a lui che me la diede raccomando l’anima mia, che desiosa d’uscire di questo carcere terreno verso lui prende il camino. – Detto questo, fu tanta la grandezza del dolore che intorno al core se le inchiavò e sì fieramente lo strinse, che ella, volendo non so che più oltra dire, comminciò a perder la favella e balbutire parole mozze, che da nessuno erano intese, e tutto insieme se le sparse per ogni membro un sudor freddissimo, in modo che incrocicchiate le mani si lasciò andar per morta. In questo i medici che quivi ancora erano, non potendo in parte alcuna a sì fiero accidente dar compenso, per