Pagina:Bandello - Novelle. 2, 1853.djvu/310

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la stanza de la vertù. E nondimeno deverebbe ciascuno con ogni diligenza e con ogni sforzo effettuosamente cercar il vero e buon camino e non si sbigottire nè spaventar per fatica che ci sia, ma andar animosamente innanzi e non piegar nè a la destra nè a la sinistra, perciò che la fatica che si sopporta a voler operar vertuosamente è degna d’ogni lode e si converte in grandissima gioia, e maggior gloria s’acquista ove è maggior contrasto e più difficultà. Non si sa egli che la vertù consiste circa le cose difficili? Deverebbe adunque da noi la vertù esser sempre seguìta, diligentissimamente ricercata, riverita, amata e santamente abbracciata; il che se si facesse come si deverebbe, senza dubio veruno ci dilungaremmo dagli estremi e ci avvicinaremmo al mezzo, e così l’azioni nostre sarebbero vertuose. Ma come dice il leggiadro toscano,


infinita è la schiera degli sciocchi.


Perciò non mi rincrescerà mai usurpar tutto il dì ed anco scrivere una bellissima sentenzia, che sovente volte ho udito dire al glorioso e chiarissimo lume del sangue italiano, il signor Prospero Colonna, la cui memoria sempre sarà con riverenza e degnissime lodi ricordata. Diceva adunque il savio signore che la differenza che è tra il saggio ed il pazzo è cotale, che il pazzo fa sempre le cose sue fuor di tempo ed il savio aspetta il tempo oportuno. E chi dubita che come una cosa è fatta fuor di tempo non può esser buona? Come voi, signor mio, sapete, s’entrò in questo ragionamento essendo venuta la nuova de la morte del capitan Zagaglia d’Arimini, essendoci di quelli che per vendicar quella crudel morte volevano far certa impresa, la quale da voi non essendo approvata, non si pose altrimenti in essecuzione. E dopo molti ragionamenti, avendo Ferrando da Otranto narrato molte crudeltà crudelissime che già usò Maometto, di questo nome secondo imperadore de’ turchi, e ritrovandosi a parlar de le vendette che bene e male si fanno, furono molte cose dette, essendo il conte Guido Rangone vostro cognato e voi ritirati ne la camera. Il signor Pier Francesco Noceto conte di Pontremoli, che era restato in sala, disse che in effetto non era dubio che chiunque desidera di far alcuna vendetta, maturamente deverebbe considerar la qualità e forze del nemico e non si voler cavar un occhio per cavarne dui al compagno. Alora entrò in mezzo dei ragionari Girolamo Giulio Franco cittadino genovese e narrò il modo che tenne un gentiluomo di Genova in far una sua vendetta. Piacque a tutti meravigliosamente sentir simil novella e fu molto commendato l’animo del genovese. Essa istoria avendo