Pagina:Bandello - Novelle. 2, 1853.djvu/369

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desideri. Io ti ringrazio ed ubligato ti sono del bene che di me dici, ed ancor che in me non sia quello che di me si predica, mi piace perciò esser tenuto tale, e quanto per me si può mi sforzo che l’opere mie a la fama corrispondano. Tutto quello che io potrò far a tuo profitto, vivi sicuro che io lo farò con quella prontezza e diligenza che usarei ne le cose mie proprie. Se seguirà buon effetto, mi sarà tanto caro quanto a te proprio. Se anco, che Dio nol voglia, il contrario succedesse, non sarà che io non abbia fatto il debito mio. Ma avendo tu ragione come mi affermi, io spero che dimane prima che il sole s’attuffi sentirai qualche buona novella, perciò che, innanzi che ceni, io alla cosa tua darò tal principio che il fine non sarà se non buono. A le proferte che in ultimo fatte m’hai, se sono di restarmi amico e fratello, io te ne ringrazio e mi parrà oggi aver fatto un grandissimo acquisto. Ma come mostri con le parole che tu accenni, se pensassi donarmi cosa alcuna, dico che se io fossi mercadante o per premio servissi, che forse l’accettarei. Ma essendo Giovanni Ventimiglia, la mia professione è da gentiluomo e da cavaliero e non' 'da mercadante. Il perchè averei io cagione di rammaricarmi di te, che a la mia cortesia cerchi far questo incarco. Questo non è quello che poco dianzi mi dicevi che di me si predica. Io nacqui di cavaliero e di signore il cui valor e fama ancor in Sicilia risuonano, e dal mio magnanimo re fui cavaliero e marchese fatto, tale forse qual a sua cortesia parve che la mia vertù od almeno l’openione ch’ebbe di me lo meritasse. L’oro che al collo portar mi vedi nol porto io per segno di mercantare, ma per dimostrar in me del mio glorioso re la liberalità e cortesia, ed altresì per usarlo e spenderlo cavallerescamente. Onde oltra al servigio che da me di parole ricerchi, quando de le facultà mie avessi bisogno di prevalerti, io tanto t’offero quanto ne vuoi. E se di questo farai l’esperienza, ritroverai molto più in me per l’opere che io farò, che non è quello che io con parole t’offerisco. – Il Tomacello, avuta la promessa e questa magnanima offerta dal Ventimiglia, si tenne per ben sodisfatto e quello senza fine ringraziò, offerendosi per la pariglia con le più amorevoli parole che seppe. E così tutto pieno di buona speranza a casa se ne ritornò, e a la moglie disse tutto quello che col marchese di Cotrone aveva operato. Ella forte si meravigliò de l’umanità del cavaliero, e senza dir altro al marito si venne ricordando tra sè la lunga servitù del marchese, lo spender largamente che fatto aveva, l’armeggiare, le magnificenze e tante cortesie da lui per amor di lei usate, e