Pagina:Bandello - Novelle. 2, 1853.djvu/40

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due o tre notti, che furo a tanti desiri brevi e scarse, a pena era seco giacciuto e già sapeva che Lelio quella come prigionera richiedeva. Il perchè di grandissima angoscia pieno e varii pensieri facendo, da lei si partì e in campo se ne ritornò. Scipione onoratamente l’accolse e vide, e a la presenza de l’essercito e lui e Lelio lodando, quanto fatto avevano molto commendò. Poi nel suo padiglione menandolo gli disse: – Io penso, Masinissa mio, che l’openione che de le mie vertù avuta hai, primieramente ti conducesse in Ispagna col mezzo del mio prode Sillano a far meco amicizia, e poi indutto t’abbia qui in Affrica e te e le cose tue metter ne le mie mani. Ma pensando io qual sia quella vertù che a ciò mosso t’abbia, essendo tu d’Affrica ed io di Europa, tu numida ed io latino e romano di varii e diversi costumi e idioma differentissimi; pensando, dico, che cosa fosse in me che di ricercarmi spinger ti devesse, giudico io fermamente la temperanza e l’astinenza dai piaceri venerei, le quali in me vedute hai e per cui io più che di cosa che in me sia mi apprezzo e stimo, esser state quelle che ad amarmi ed unirti meco indutto ti abbiano. Queste virtuti vorrei io, Masinissa, che tu a l’altre tue buone doti, e ai beni che in te sono da la natura creati e con l’industria tua fatti megliori, aggiungessi. Pensa ben bene che tanto non deve la nostra giovenil età gli armati esserciti dei nemici temere, quanto le sparse d’ogn’intorno delicatezze e le voluttuose delettazioni, e massimamente il periglio che a noi sovra sta de le carezze feminili. Onde colui che l’amorose passioni temperatamente affrena o doma, e a le lascivie il petto chiude, e tra queste sirene con gli orecchi serrati passa, assai maggior gloria acquista che noi acquistato non abbiamo ne la vittoria contra Siface. Annibale, il maggior nemico che mai avessimo noi romani, uomo fortissimo e capitano quasi senza pari, da le delizie e feminili abbracciamenti d’alcune donne effeminato, non è più quel virile e gagliardo imperadore che esser soleva. Le cose che in mia lontananza ne la Numidia valorosamente fatte hai, la tua sollecitudine, la prontezza, l’animosità, la fortezza ed il valore, la celerità e tutte l’altre tue buone parti di vera lode meritevoli, volentieri ricordo e di commendarle mai non mi sazio. Il resto più caro averò che teco stesso pensi, a ciò che io dicendolo, non ti sia di vergognarti cagione. Come tu sai, Siface è stato dai nostri soldati preso; il perchè egli, la moglie, il reame, i campi, le terre, le città e gli abitatori, e insomma tutto quello che fu del re Siface è preda del popol romano; e il re e la consorte sua, ben che non fosse cittadina di