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LETTERA TRENTASETTESIMA

del marchese Grisella di Rosignano
al conte Filippo Fontana

[Il terremoto di Lisbona dell’anno 1755.]

Appena giunto in Lisbona, volli andar a vedere le rovine cagionate dal sempre memorando terremoto che scosse i due regni di Portogallo e d’Algarve con molta parte di Spagna, e che si fece terribilmente sentire per terra e per mare in molt’altre parti d’Europa e d’Africa nell’anno mille settecento cinquantacinque il di d’Ognissanti. Misericordia, signor conte! È impossibile dire l’orrenda vista che quelle rovine fanno e che faranno ancora per forse piú d’un secolo, ché un secolo almeno vi vorrá per rimuoverle! Per una strada lunga piú di tre miglia e che era la principale della cittá, non vedi altro che masse immense di calce, di sassi e di mattoni accumulate dal caso, dalle quali spuntan fuora colonne rotte in molti pezzi, frammenti di statue e squarci di mura in milioni di guise. E quelle case che son rimaste in piedi o in pendio, novantanove in cento sono affatto prive de’ tetti e de’ soffitti, che o furono sprofondati dalle ripetute scosse o miseramente consumati dal fuoco. E in quelle lor mura vi sono tanti fessi, tanti buchi, tante smattonature e tante scrostature, che non è piú possibile pensare a rattopparle e a renderle di qualche uso. Case, palagi, conventi, monasteri, chiese, campanili, spedali, ospizi, teatri, torri, porticati, ogni cosa è andata in indicibile precipizio! Se vedeste solamente il palagio del re che strano spettacolo, signor conte! Immaginatevi un edilízio d’assai bella architettura, tutto fatto di marmi e di macigni smisurati, tozzo anzi che tropp’alto, con le mura maestre larghe piú di sette palmi romani, e tanto esteso da tutte parti che avrebbe bastato a contenere la corte d’uno imperador d’Oriente, non che