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LETTERA QUARANTAQUATTRESIMA

DEL CANONICO GlANFRANCESCO GUENZI

a Vittorio Amedeo Cigna [Non è consigliabile una ristampa delle nostre tragedie del Cinquecento: sarebbe preferibile una raccolta de’ nostri poeti epici, corredata di dissertazioni e di note.] Io vi ringrazio, Cigna mio, che non m’abbiate peranco messo nel numero de’ morti, come la nostra soverchia lontananza e il mio lungo silenzio sembra meritare. Il silenzio sia rotto con questa e con altre che la seguiranno, quando il vogliate; e, rispetto alla lontananza, mi voglio sommamente allegrare non abbia punto resa ottusa l’amicizia che avete per me. In proposito della edizione da voi ideata, m’è forza dirvi che non l’approvo punto, se mi permettete di parlarvi alla schietta. Ristampare in dodici volumi le nostre tragedie del Cinquecento? Io vi profeteggio, se voi condurrete a fine questo disegno, che scapiterete molto dal canto della borsa; e se chi non è ricco debba ir cercando col lumicino di scapitare da quel canto, giudicatelo voi. — Ma come ci scapiterò, canonico mio? — Come? Cominciate ad osservare, Cigna mio, che il calcolo da voi fatto non è punto giusto, avendo scordato di notare che un venti o un venticinque per cento del danaro risultante dalla vendita dovrá ire nelle tasche de’ librai forestieri ed anco di que’ librai paesani che vorranno incaricarsi di vendere le copie per conto vostro, poiché per conto suo propio non credo abbiate a trovarne pur uno che le voglia vendere. Questo nondimeno sarebbe poco diffalco al vostro guadagno, supposto lo spaccio di tutta l’edizione. Ma, Cigna, e dove troverete voi un numero di