Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/253

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1 254 LETTERA QUARTA di Belzebú, come lo chiamo io? Via, via, Pasquali, o giraffa o camelopardalo che tu ti sia, non mi mandar mai piú in vita tua cosa italianamente scritta da gesuita veruno, se non ami sentirti dire il paternostro della scimia, o se non vuoi ch’io prieghi qualcuna delle tante Madonne del signor Flaminio 00 ti mandi un polipo nel naso, come quello che s’aveva in diebus illis l’amabile Agnese del buon Balbino d’Orazio Fiacco ( 2 ). M’hai tu capito, can malfusso, che stampi sempre alla rinfusa le belle cose e le castronerie? Oh, s’io potessi, le sode frustate che vorre’ qualche volta dare su quella tu’ schenaccia, quando vedo certuni entrarti nella bottega con un qualche manuscritto in mano! Ma facciamola finita, e statti sano, giraffa dell’Abissinia, statti sano, ché non vo’ aggiungerti un monosillabo di piú. (1) Credo si beffi d’un suo collega chiamato Flaminio Corner o Cornaro, gentiluomo veneto de’ primi primissimi, tanto che fu piú volte inquisitore di Stato, e tuttavia tanto invincibilmente gonzo, che s’ ha scritto in sul serio, e quindi stampato, un libro in cui dá un esatto conto delle Madonne miracolose che si trovano qua e lá in abbondanza pel dominio della sua repubblica. (2) Allude scherzevolmente al quarantesimo verso della satira terza.