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LETTERA SETTIMA

di Giuseppe Visconti a Sebastiano Franzi

[Il ridere cagionato da un Arlecchino guarisce i preti vecchi ed ipocondriaci. E degli Arlecchini in Milano ve n’ha molti, fra i quali il frate Onofrio Branda e il conte Pietro Verri, cruscaio l’uno, anticruscaio l’altro.] Ella m’ ha propio data una lancettata, signor Sebastiano, dicendomi come l’ ipocondria è pur tornata a bistrattarla! Possibile Vossignoria non se n’abbia a liberare una volta per sempre? non abbia a cacciarla un tratto in millantamila malore? Parlandone iersera col nostro marchese Carpani, che un tratto n’ebbe anch’egli una maladetta dose, e’ m’assicurò d’essersene guerito con pigliare de’ vomitivi; ed appoggiò la ragione da cui fu indotto a pigliarli con molte ragioni, ch’io non posso dire non mi paian buone, comeché non intenda di medicina quant’esso. Tant’è, che questa cosa de’ vomitivi, detta a me dal marchese, Ella dovria dirla issoffatto al suo dottore. Chi sa! «Di cosa nasce cosa», d’ce il proverbio; e forse che il cenno porrebbe in capo a quell ’eccellentissimo un qualche nuovo pensiero a vantaggio di Vossignoria. Se però questo cenno, o suggerimento, le paresse frivolo e da non farne conto nessuno, permettami, signor Sebastiano, gnene faccia un altro, che sará forse di piú sostanza, quando gli avrò premessa una novelletta statami raccontata non ha guari. Ella avrá inteso dire, o gliel dich’io quando non abbia, come nella cittá di Parigi, e nel teatro che chiamano lá della Commedia italiana, v’è un certo attore nominato Carlino, il quale, forse in grazia della rima, vi fa l’Arlecchino. Avvenne un di (e qui comincia la novella) che quel Carlino si trovò a tu per tu, non so se in un caffè o dove, con un vecchio prete dal quale non era punto conosciuto; ed entrando in chiacchere con esso e passando come s’usa di cosa in cosa, gli venne detto