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arlecchinate vive, acute, frizzanti, confesso che frate Onofrio non ne sa dir troppe, non essendo mestiero da frate l’essere vivo, acuto e frizzante nel parlare. Però di quella sorte arlecchinate, che cadono nella categoria delle scempiaggini e delle mellonaggini, non abbia Vossignoria paura gnene manchino mai. Frate Onofrio n’ha sempre tante da far iscoppiare i gatti dal soverchio ridere. Pensi mò s’Ella potrá impedirsi dal ridere quando il sentirá cruscheggiare alla bergamasca da quella su’ cattedra a que’ suoi giovani studianti, e annoverare arlecchinescamente ad una ad una le tante rifulgenti glorie, di cui la Toscana può millantarsi a confronto di quelle, tenebrosissime, onde si vanta la meschina Lombardia. Frate Onofrio non si stanca mai di dire e di ripetere a que’ suoi studianti come le siepi d’intorno a Fiesole e i cespugli presso il Poggiaccaiano e le macchie nelle maremme di Siena basta semplicemente fiutarle o «fiutalle», perché t’empiano le narici di soavissima fraganza, e cento volte piú che non qualsivoglia giardino dello Stato di Milano. Frate Onofrio dirá a que’ suoi discepoli come un uomo sensato non può impedirsi dall’andare in estasi nel sentire i mulattieri di Montelupo e di Pietramala chiamare i loro muli co’ vaghissimi nomi di Bizzarro, di Ciuschero, di Tanghero e di Fantastico. Frate Onofrio assicurerá a que’ discepoli suoi, e con molto magna prosopopea, che del senno basta in Toscana averne un’oncia, anzi pure una dramma sola, perché ti faccia piú buon prò a sette doppi che non un’intiera libbra in Milano; avvegnadioché il senno di Milano e del milanese territorio non è a un gran pezzo limbiccato e raffinato quanto quello di Firenze o del suo Mugello. Di coteste o cotali scempiate arlecchinate il buon frate Onofrio non può aprir bocca senza sbalestrarne le centinaia, col fine vago e laudevolissimo sicuramente d’indurre gli alunni suoi a favellare cruschevole cruscantissimo; e quando il mio signor Sebastiano gnene avrá sentite scoccare qui e qua una buona mano, come diavolo avrá a fare perché la trachea non gli sia convulsa e riconvulsa da un ridere grasso, lungo e impetuoso? Pogniamo nientedimeno che a quell’Arlecchino vestito da frate barnabita non riesca di operare la perfetta guerigione del