Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/330

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molto sapore quella Eufrosine coll’altre sorelline, e succiando un nettare veramente celeste dalle labbra loro: in tutti questi casi, dico, la poesia dell’Italia è si vaga, si varia, si amabile, si maravigliosa, che ti rapisce un’anima ben fatta, alla guisa che l’aquila Ganimede, e te la porta su su in alto, in alto, e te l’avvolge in un vortice di dolcezza propiamente sovrumana, con una forza, per avventura, maggiore che gli oltramontani e gli oltramarini non si possono neanco immaginare. E cosi pure la prosa nostra, dappertutto dove i tre Villani e il Malespini e il Morelli e tant’altri nostri vecchi cronachisti danno nel vero semplice, anzi che nello sfibrato, nel rozzo e nel plebeo; dove il Boccaccio, il Machiavelli e monsignor Della Casa non traspongono le lor parole pedantescamente alla latina, mandando i verbi loro sull’estreme punte de’ lor periodi; dove il Firenzuola non tombola, per cosi dire, nella fogna delle vezzosaggini; dove il Caro ci mette il fiato e le gomita; e dove il Guicciardini non ti toglie la lena colla prolissitá delle sentenze: costi, dico, e in molt’altri libri nostri, ché sarebbe troppa tiritera il dirne davvantaggio, costi la prosa nostra va per lo meno a paro a paro con qualunque di qualunque lingua mi si possa nominare, standomi sempre nel ristretto cerchio di quelle moderne europee, delle quali ho qualche contezza e pratica. Ma che fa tutto questo, signor Niccolò, al nostro proposito? E come far qui parallelo vantaggioso del nostro coll’altrui? V’è egli forse ignoto che la lingua toscana, formata in prosa e in poesia nell’accennato modo, non è lingua che piú esista in voce e che piú s’usi in iscritto se non da pochissimi di noi? E noi sapete voi che la lingua sostituita oggimai in ogni parte d’ Italia alla lingua prefata non è se non una cosaccia tanto vile, tanto schifosa, da farci recere le budella, se un po’ di quella cosa che si chiama «gusto di lingua» rimanesse tuttora in qualche parte della contrada nostra? Voi vel sapete pure, signor Niccolò, come noi italiani, di qualunque parte d’Italia ci siamo, non adoperiamo piú da molt’anni le tante vaghe fogge d’esprimersi usate giá da que’ nostri sopranomati galantuomini; e voi lo sapete altresí che non abbiamo piú in alcuna nostra